Cosa è rimasto del sogno europeo del manifesto di Ventotene? Cosa è rimasto del suo progetto di unire i popoli del continente per evitare nuove guerre, nuove avventure totalitarie, nuove leggi razziali e abbattere muri e confini? La guerra in Europa brucia non solo vite umane e territori straordinari e ricchi di storia e di cultura. La guerra snatura il dna stesso dell’Unione, rinfocola i nazionalismi e i sovranismi, rafforza le pulsioni egoistiche dei Paesi più ricchi e si erge a fortezza per impedire l’ingresso di chi fugge da conflitti, dittature, fame e dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Nel secolo scorso i nazionalismi sono stati il propellente di due guerre mondiali ed oggi questa traslazione dall’idea di una Europa dei popoli a quella di una Europa delle nazioni rappresenta probabilmente una delle più grandi minacce alla pace. La sacralità dei confini invece che della vita umana e il non aver mai fatto i conti con i crimini del colonialismo, spingono il nostro continente al contempo a chiudersi su se stesso e dall’altro ad alimentare missioni militari a tutela degli interessi occidentali.
In questi ultimi anni il riarmo dell’UE è stato accelerato, con alcuni Paesi membri che hanno deciso di incrementare in modo significativo i loro bilanci della difesa. La Germania, ad esempio, ha annunciato un fondo speciale da 100 miliardi di euro per la modernizzazione delle sue forze armate (Bundeswehr), una decisione storica per un Paese che ha mantenuto una posizione prudente rispetto al suo ruolo militare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Anche altri Paesi dell’UE hanno aumentato il loro budget per la difesa, con l’obiettivo di raggiungere il 2% del PIL raccomandato dalla NATO.
Una delle proposte più significative riguarda l’emissione di bond europei per finanziare la difesa comune. L’idea è stata avanzata per facilitare il coordinamento degli investimenti militari tra i Paesi dell’UE e ridurre la frammentazione delle spese militari. Secondo i fautori del riarmo europeo l’emissione di titoli di debito comune permetterebbe una maggiore solidarietà finanziaria tra i Paesi, garantendo che anche quelli con bilanci più ridotti possano contribuire al rafforzamento della difesa europea.
L’idea è quella di superare la dipendenza dagli Stati Uniti per garantire una maggiore autonomia strategica dell’Unione. Anche la vittoria di Trump, con un potenziale abbandono del sostegno Usa all’Ucraina, dovrebbe, secondo Ursula Von der Leyen, spingere la Ue a sostituire questo sostegno con quello europeo.
D’altronde il rapporto di subalternità della Ue alla NATO è dimostrato dal fatto che tutti i nuovi paesi dell’Est Europa che hanno aderito all’Unione da dopo la caduta del muro di Berlino sono, senza eccezione alcuna, tutti prima stati “arruolati” nell’Alleanza Atlantica. Anche l’anomalia positiva dei paesi neutrali al profilo politico dell’Unione Europea si è andata assottigliando nell’ultimo anno.
L’invasione russa dell’Ucraina ha infatti spinto Finlandia e Svezia, storicamente neutrali, a rivedere le proprie politiche di sicurezza. Entrambi i paesi hanno richiesto ed ottenuto in tempi record l’adesione alla NATO. Questo segna un cambiamento epocale per i due paesi e rafforza la presenza della NATO nel Nord Europa, creando una nuova frontiera di difesa diretta contro la Russia. Per l’UE si tratta di una perdita di autonomia nei confronti degli Usa non indifferente. Solo due paesi della Ue infatti rimangono ancora “neutrali”: l’Austria e l’Irlanda. Si tratta di un impoverimento del profilo dei valori su cui era sorta l’Unione Europea che ora risulta sempre più schiacciata verso e dentro la Nato. Il nuovo segretario generale della Nato Mark Rutte, nel suo esordio a livello operativo, ha dichiarato che il nuovo obiettivo è “produrre più armi, a costi più bassi e più velocemente”. In più ha definito come “ineluttabile l’ingresso dell’Ucraina nella Nato”. Anche i conflitti interni e le attuali tensioni in Moldavia e Georgia hanno una radice nell’estensione ad est della NATO oltre che dalla politica di potenza della Russia di Putin.
Il processo d’ingresso nella Ue della Turchia – che è comunque un paese NATO – è bloccato da tempo per diverse ragioni. Quelle formali riguardano la mancata ottemperanza del governo di Erdogan degli standard minimi sui diritti umani e le libertà democratiche fondamentali. Dietro però vi sono interessi geopolitici in collisione tra Ue e Turchia nel Mediterraneo. È aperta una contesa sullo sfruttamento dei giacimenti di gas nel mare intorno a Cipro, isola, è utile ricordarlo, in parte occupata dai militari turchi dal Luglio 1974. Purtroppo le richieste del movimento per la pace e di solidarietà nei confronti del popolo curdo di sospendere la vendita europea di armi alla Turchia non hanno avuto ascolto da parte dei vertici e dei Paesi della Ue. La Turchia svolge inoltre un ruolo militare importante in Libia sia attraverso diversi consiglieri militari inviati a sostegno del governo di Tripoli, sia attraverso lo stazionamento di diverse navi da guerra.
L’inconsistenza della politica estera Ue è stata evidenziata inoltre in tutta la vicenda del conflitto in Medio Oriente. Il massacro a Gaza, la guerra al Libano, la decisione di mettere al bando l’Unrwa (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi), l’attacco deliberato e reiterato al contingente Unifil in Libano hanno visto solo proteste verbali da parte della Ue senza che ne seguissero mai provvedimenti sanzionatori. La Ue ha completamente disatteso la richiesta avanzata da diversi movimenti pacifisti di applicare l’art.2 del Trattato di Associazione d’Israele dall’Unione Europea, sospendendolo come pressione su Tel Aviv per indurla al cessate il fuoco.
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