Alle 12.00 del 22 gennaio 2021 le campane appena restaurate del municipio di Padova hanno suonato a festa per accogliere l’entrata in vigore del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), salutate dagli striscioni della campagna “Italia, ripensaci”, sotto una gelida pioggia. A poche centinaia di metri suonavano a stormo anche le campane della Cattedrale. Le campane, che nei secoli hanno sempre scandito i momenti importanti e straordinari per la vita delle comunità, rinnovavano una tradizione, mentre uno smartphone riprendeva la scena e la trasmetteva su Facebook con gli strumenti più moderni dell’oggi, in una diretta della Rete italiana Pace e Disarmo che raccoglieva le immagini e le voci di altri eventi simili in molte città italiane. Perché era così importante informare la cittadinanza dell’entrata in vigore di un trattato che l’Italia non ha nemmeno firmato?
La campagna “Italia, ripensaci” ha raggiunto sempre più persone in questo Paese, informandole dell’attività internazionale per mettere al bando le armi nucleari e del fatto che l’Italia non è tra gli Stati che hanno approvato il TPNW. Le testimonianze principali sono degli Hibakusha, i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki; ma un aspetto importante della campagna consiste nel diffondere l’esempio di altre campagne che, in passato, hanno portato a norme di disarmo internazionale, come la messa al bando delle mine antipersona.
L’azione “dal basso” dei popoli, cioè la possibilità effettiva di imporre scelte morali, umanitarie, ai governi, scelte prioritarie rispetto alle considerazioni di ordine geopolitico, è diventata una possibilità concreta in cui strati sempre più ampi della società civile credono. Lo si deduce chiaramente dai risultati dei sondaggi dell’opinione pubblica italiana condotti negli anni 2018-2020, nel quadro di indagini demoscopiche in molti paesi europei commissionati da ICAN (la Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari). Se nel 2019 alla domanda “Pensi che l’Italia debba firmare e ratificare il TPNW?” rispondeva positivamente il 70% degli italiani interpellati; dopo un anno e mezzo, nel novembre 2020, ha detto sì l’87%.
Il percorso di questa norma giuridica internazionale è partito anni fa. Per superare lo stallo tra gli Stati sul tema del disarmo nucleare le grandi organizzazioni internazionali (medici, giuristi, parlamentari, sindaci, religioni, ecc.) hanno pensato che servisse partire da una considerazione condivisa.
L’impatto catastrofico di un qualsiasi uso di armi nucleari è tale che nessuna organizzazione internazionale può apporvi rimedio, né può venire in soccorso alle popolazioni colpite in maniera efficace. E se né Croce Rossa, né Organizzazione Mondiale della Sanità, né UNHCR o PAM possono rimediare ai danni catastrofici causati da un conflitto nucleare, allora il dovere morale di tutte queste organizzazioni insieme è di impedire che un tale conflitto abbia luogo. E il modo più efficace per farlo è di mettere al bando e smantellare tutte le armi nucleari.
Nasce così l’Iniziativa Umanitaria, promossa da pochi Stati all’inizio e sostenuta dalle organizzazioni di società civile. Prende il nome dal fatto che l’unica considerazione da tenere presente è la valutazione delle conseguenze sulle persone e sull’ambiente in cui vivono. Serve perseguire la sicurezza umana e non quella militare. E questo fondamento mette tutti sullo stesso piano, restituendo anche un po’ di democrazia tra gli Stati: non più solo le voci più forti delle potenze nucleari, a decidere anche contro la volontà della maggioranza degli altri Stati.
La campagna “Italia, ripensaci” promossa dalla Rete italiana per il disarmo e da Senzatomica è nata nell’autunno del 2016: nella riunione alle Nazioni Unite che doveva proporre all’Assemblea Generale la convocazione della conferenza per dibattere del trattato (decisione passata a grande maggioranza), l’Italia votò contro. Rimanemmo stupiti, pensando a un errore. Tutti i precedenti accordi internazionali sul
disarmo (mine antipersona, munizioni a grappolo, ecc.), come quelli su questioni umanitarie o etiche quali la moratoria sulla pena di morte, avevano sempre visto l’Italia in prima fila. Un’Italia di cui essere fieri. Scrivemmo subito al governo che nemmeno ci rispose. E a dicembre in Assemblea Generale ci aspettavamo una modifica della posizione, ma invece l’Italia votò nuovamente in maniera contraria alla sua storia, alla sua cultura, seguendo gli ordini di scuderia della Nato.
In questi anni, pur continuando con ogni cambio di governo a scrivere, ribadendo le nostre richieste, abbiamo contemporaneamente mirato a informare e coinvolgere il Paese. E abbiamo raccolto oltre 200 Ordini del Giorno approvati da Consigli comunali in tutta Italia, spesso all’unanimità, in cui si chiedeva al Governo di “ripensarci” e di unirsi a quegli Stati che avevano approvato il TPNW. Abbiamo consegnato a Palazzo Chigi decine di migliaia di cartoline di italiane e italiani che chiedevano di aderire al TPNW. La mostra Senzatomica ha avuto negli anni oltre 350.000 visitatori, principalmente ragazzi delle scuole accompagnati dai loro insegnanti. Le associazioni italiane che hanno aderito a “Italia, ripensaci” sono quasi impossibili da censire, poiché in ogni territorio si coalizzano in maniera autonoma (per esempio, solo nella provincia di Brescia sono 165 le sigle che si sono aggregate intorno alla richiesta che anche l’Italia firmi il TPNW). In tutta Italia sono molte centinaia!
Per la festa dell’entrata in vigore il 22 gennaio ci sono state iniziative significative in molte città. In particolare, davanti all’aerobase di Ghedi (BS), dove sono custodite alcune bombe nucleari statunitensi, dietro allo striscione “Italia, ripensaci” si sono ritrovati sindaci e attivisti (in rappresentanza di 56 enti locali e 165 associazioni). In maniera inusuale, quella mattina era uscita sulla stampa locale una dichiarazione
congiunta di adesione a “Italia, ripensaci” di Sindaco e Vescovo di Brescia. Don Fabio Corazzina, parroco a Brescia e membro di Pax Christi, si è presentato con il modellino di una mina antipersona per ricordare che, anni fa, si diceva che sarebbe stato impossibile mettere al bando le mine fabbricate in quei territori. Eppure, aggiungeva, allora la volontà congiunta dei popoli aveva convinto gli Stati ad approvare la Convenzione di Ottawa. Anche adesso, quella stessa volontà, oltre a far rivivere le regole democratiche dell’ONU, potrà alla fine rendere possibile ciò che oggi viene liquidato come ‘mera utopia’.
L’importanza degli Enti locali è fondamentale, ma non deve stupirci. Le armi nucleari sono le uniche armi progettate proprio per distruggere le città. La distruzione di Hiroshima, come quella di Nagasaki, non fu il disastroso “effetto collaterale” di un’azione di guerra. Fu un’azione di guerra eseguita secondo programma. Ne nascono due considerazioni: prima, sono armi da proibire perché contrarie al diritto
internazionale che proibisce l’uccisione di civili non combattenti. E seconda: le città sono legittimate a pronunciarsi sul tema del disarmo nucleare, in quanto principali vittime designate di questi ordigni. Di conseguenza, i governi nazionali hanno l’obbligo morale di ascoltarle.
Per tornare alla giornata del 22 gennaio 2021, avevamo proposto alle città di stampare un manifesto con il quale informare la cittadinanza dell’entrata in vigore del TPNW, a favore del quale il Consiglio comunale si era espresso. In decine hanno affisso copie del manifesto nel municipio, nelle scuole, nelle varie bacheche informative del Comune. Il manifesto si conclude con le parole “Il Comune proseguirà nell’azione di sostegno alla campagna “Italia, ripensaci” affinché anche l’Italia ratifichi e recepisca le prescrizioni del Trattato.”
Questa campagna, aldilà dell’obiettivo specifico di far aderire l’Italia al TPNW, mi sembra che abbia dimostrato che siamo ancora capaci di mobilitarci con speranza e determinazione per una finalità che riguarda l’umanità intera. E’ una bella sensazione.