Orsetta Giolo: Il sessismo e la guerra

Il femminismo ha sicuramente contribuito ad analizzare e decostruire il tema (e le pratiche) della violenza, e dunque a demitizzare le retoriche della guerra, del militarismo e del patriottismo virile: per il femminismo la violenza è chiaramente espressione della volontà di dominio (maschile) e l’uccisione – che rappresenta il rischio prevalente nella guerra – è la massima espressione di questa volontà di dominio, come ha scritto Judith Butler.

Riflettere allora sulle connessioni teoriche e pratiche tra femminismo e pacifismo significa interrogarsi non tanto sulla “natura pacifista” delle donne, quanto sul nesso forte che si può intravedere tra questi due saperi inediti. Se c’è infatti una prima forte assonanza tra le due correnti di pensiero, sta nella loro sottovalutazione, nel loro discredito. La nonviolenza, scrive Butler, “è uno di quei temi che incontrano reazioni scettiche trasversali”. Potremmo affermare lo stesso del femminismo. 

Dunque, il pacifismo e il femminismo, come saperi svalutati ma in verità fecondi, cosa sono in grado di proporre oggi? Quali pratiche possono promuovere? Quali retoriche sono in grado di decostruire e smascherare?

Femminismo e pacifismo sono saperi inediti perché assumono come punto di vista quello dei soggetti “imprevisti”, ovvero lo sguardo di chi non è in una posizione di dominio e nemmeno di uguaglianza. Sono prospettive promosse da chi subisce forme sistematiche di oppressione, come il patriarcato e la guerra – secondo Simone Weil, quest’ultima è la forma massima dell’oppressione.

Ne consegue che, inevitabilmente, la riflessione suggerita da entrambi è altra, gli scenari ipotizzati sono diversi, i progetti e le soluzioni dei problemi seguono strade nuove e originali rispetto a quelle finora battute.

Entrambi collaborano al disvelamento delle retoriche dei soggetti dominanti sulla guerra. Il femminismo, in particolare, ne indaga la matrice patriarcale, nonché razzista e classista, quale forza trainante della distruzione di massa – scrive il filosofo e africanista Achille Mbembe. La guerra, parafrasando la sociologa inglese Carol Smart, è infatti sessista, maschile e sessuata.

È “sessista” perché legittima e permette l’adozione di pratiche e regole che rendono vulnerabili i soggetti in ragione del genere: la violenza contro le donne, gli stupri di guerra, nello specifico, rappresentano probabilmente la manifestazione più brutale e drammatica di questa matrice.

La guerra è “maschile“, poiché rientra all’interno di quel paradigma giuridico e politico che presupponeva implicitamente l’uomo quale unico soggetto del diritto e della politica. Anche se le donne oggi sono parte degli eserciti, l’immaginario resta maschile. Difatti, gli eserciti, le catene di comando, gli scontri fisici, le armi, le divise, così come il linguaggio e le retoriche di esaltazione della violenza e di disprezzo del nemico, sono costruiti a partire da quell’immaginario.

La guerra, infine, è “sessuata” perché colloca e disciplina gli uomini e le donne attribuendo loro specifici ruoli che possono anche mutare nel corso del tempo, ma senza mai perdere la loro funzione di consolidamento delle identità “genderizzate”; reiterando, quindi, stereotipi e discriminazioni.

La critica radicale femminista e quella pacifista convergono in modo evidente anche attorno al modo di intendere e rappresentare le soggettività. Femminismo e pacifismo tematizzano la soggettività incarnata – non astratta e non ideologizzata, ma nemmeno essenzializzata – che esprime bisogni e diritti. Ed è una soggettività in relazione: non ci sono miti dell’autonomia (o dell’eroismo), perché la relazione si muove al di fuori del binomio potere/obbedienza e deve essere improntata ai valori dell’uguaglianza, della libertà, della solidarietà e alla risoluzione pacifica dei conflitti.

È infine, una soggettività plurale. Le identità nel femminismo sono plurali, sempre. Se emergono contrapposizioni identitarie tra donne, e se nascono discussioni in tal senso, queste diventano motivo di approfondimento e dibattito, anche acceso, ma non di scontro violento. Ciò presuppone una concezione relativistica che non ammette idoli, ideologie, primati. Così avviene anche per il pacifismo, che non accetta i primati nazionali, che ammette il dissenso: ci sono le ragioni di entrambe le parti. Occorre discutere, ascoltare, mediare.

Anche rispetto alla pervasività della mercificazione onnicomprensiva, femminismo e pacifismo esprimono una visione concorde. Il pacifismo denuncia i traffici che stanno alla base delle guerre, così come il femminismo denuncia i traffici che si consumano sul corpo delle donne.

Si tratta cioè di teorie che, a partire dal soggetto incarnato, non ignorano il dato reale e quindi non tacciono sulla rilevanza del mercato, ma in senso opposto al neoliberalismo. Se questo pone il mercato sopra ogni cosa, femminismo e pacifismo sostengono che il mercato vada regolato e limitato, poiché ci sono beni illeciti – ad esempio le armi, come sostiene il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, poiché micidiali – o indisponibili, non mercificabili – come i corpi delle donne. 

Femminismo e pacifismo vantano dunque un ricco patrimonio condiviso. Non a caso, le pratiche politiche femministe sono un laboratorio di agire nonviolento, a differenza di quanto caratterizza l’agire politico maschile. La pratica femminista dimostra non solo che la nonviolenza è possibile ma che è anche molto feconda, che è forza trasformatrice, non debolezza, come sottolinea sempre Butler, ma radicalità. 

Nota

Alcune di queste considerazioni sono riprese da Orsetta Giolo, Le donne, la guerra e le parabole dell’emancipazione. Una critica giusfemminista, in “Ragion pratica”, 2/2017, pp. 381-408. Altre sono state discusse in occasione del Convegno Il futuro imprevisto. Genere, sessualità, politiche. Prospettive storiche e sguardi critici sul presente, organizzato dalla Rete GIFTS – Studi di genere, intersex, femministi, transfemministi e sulla sessualità, tenutosi a Genova dal 9 all’11 febbraio 2023.

Riferimenti

Weil, Sulla guerra. Scritti 1933-1943, il Saggiatore, Milano, 2013, p.33

J.Butler, La forza della nonviolenza. Un vincolo etico-politico, Nottetempo, Milano, 2020, p.251, p.11, pp.268-269

Mbembe, Nanorazzismo. Il corpo notturno della democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2019, p. 44 e ss.

Ferraioli, Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, 2022



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