Le donne in nero, ieri e oggi

LE ORIGINI

di Elisabetta Donini
Elisabetta Donini,  (Torino, 1942) insegnante di Fisica alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, una delle fondatrici delle Donne in Nero italiane, impegnata dalla fine degli anni ’80 in percorsi di relazione con donne palestinesi e israeliane, ed è autrice di numerosi testi e saggi su temi quali la politica della diversità, i rapporti attraverso i conflitti, la cura dell’ambiente, la critica dei modelli di sviluppo. 

Il testo qui pubblicato è quello della sua relazione all’incontro per il trentennale delle donne in nero di Padova, 20 settembre 2019

CHI SONO LE DONNE IN NERO?

Sono una rete internazionale di donne femministe e pacifiste nata a Gerusalemme l’8 gennaio 1988. Ce lo racconta Gila Swirsky, una delle prime aderenti al movimento e autrice del libro “Standing for peace: A history of women in Black in Israel“. Sullo sfondo c’è l’inizio dell’intifada, la “Rivolta delle pietre”, cominciata a Gaza l’8 dicembre 1987, quando un automezzo militare israeliano travolse e uccise quattro palestinesi del campo profughi di Jabalya. Nel clima già rovente dell’Occupazione che durava dal 1967 (o – per meglio dire – dal 1948), l’insurrezione si estese subito in tutti i Territori palestinesi. In Israele, nel mese di dicembre vennero fatte varie manifestazioni, a Gerusalemme e non solo, in cui, insieme ad alcuni uomini cominciarono a comparire donne vestite di nero: la prima volta furono circa otto e portavano cartelli neri, ritagliati in forma di mano, il simbolo stradale dello stop [ma anche la mano di Fatima, antico simbolo sia ebraico che musulmano], recanti appunto la scritta “Dai LaKibush” (in inglese: “Stop the Occupation”; in breve si aggiunse la versione araba). Secondo un commento di Gila Svirsky, quel modo di presentarsi “risultava drammatico, come un coro dell’antica Grecia”; esprimeva il lutto per quanti erano stati uccisi o feriti dalla violenza e fu efficace per attrarre altre donne. Ecco alcuni passi del I capitolo:

«L’8 gennaio [1988: a un mese esatto dall’inizio della rivolta] le donne scelsero di dimostrare nel cuore di Gerusalemme, all’incrocio di grande traffico tra Jaffa Road e Ben Yehuda Street. Si presentarono circa quindici donne, tra di esse mia figlia Mieka Brand di 15 anni, che lo aveva saputo dalla sua amica Alva, figlia di Raya. Raya non solo portava un abito nero, ma reggeva un grande cartello su cui aveva fatto un disegno fortemente provocatorio – un soldato israeliano che picchiava con violenza un palestinese. Non era un’immagine adatta a suscitare amicizia, considerato che in Israele la maggior parte delle persone guardava ai nostri soldati come alle vittime della violenza, non a chi la perpetrava. Perciò la dimostrazione si fece notare, per dirla con un eufemismo.»

COME FURONO ACCOLTE?

La collocazione scelta esponeva al disprezzo le donne che avevano “preso il lutto” per il nemico, anziché sostenere i “nostri ragazzi in uniforme”; era una rabbia così violenta che Hagar Roublev – un’altra delle madri fondatrici – ebbe a raccontare: “Tornai a casa coperta di sputi”. Però era stata trovata una modalità – donne in silenzio, vestite di nero – che catturava l’attenzione, anche se si era scelto un luogo troppo esposto agli attacchi. Il gruppo decise di rendere permanente la manifestazione (ogni venerdì, per un’ora), ma di spostarla a Paris Square, “dove sarebbero state un po’ più lontane dagli astanti, e tuttavia ancora ben visibili.”

Gila riporta poi i nomi delle quindici fondatrici che nel corso degli anni sfidarono la lealtà alla “propria parte” che il contesto nazionale e/o religioso pretendeva di imporre. Diverse di quelle donne purtroppo non ci sono più, ma resta tuttora caro e profondo il loro ricordo.

La decisione di manifestare tutte le settimane vestite di nero e in silenzio si estese all’intera Israele, fino a coinvolgere una trentina di luoghi. L’intenzione in cui tutte si riconoscevano era quella sì di esprimere solidarietà con la popolazione palestinese per le sofferenze che le venivano inflitte, ma anche di denunciare lo stravolgimento che il ricorso a tanta violenza apportava all’identità, alla storia e alla società ebraica, rispetto ai principi cui quelle donne aderivano. Perciò si parlò spesso di “un duplice lutto”.

La brutalità degli attacchi contro le Donne in Nero dipendeva dal fatto che esse erano percepite dalla maggioranza come traditrici: la società israeliana si fondava (e tuttora si fonda) sul richiamo alla Shoah come fattore unificante e sull’esaltazione dell’esercito come pilastro per garantire il futuro di tutto il popolo; scostarsi da quei cardini significava appunto rendersi colpevoli di tradimento. Per di più, trattandosi di donne, l’esecrazione si caricava di pesanti valenze sessuali; come riportano molti resoconti di quel periodo, spesso ricorrevano insulti quali “cagne”, “sgualdrine”, “puttane di Arafat” e anche peggio.

CON QUALE SPIRITO E PER QUALE SCOPO NACQUERO LE DONNE IN NERO?

Uno degli aspetti che mi paiono di maggior rilievo è l’essersi caratterizzate per l’assunzione personale di responsabilità che rendeva ciascuna di loro protagonista della propria scelta individuale, pur se soltanto la relazione con le altre dava la forza necessaria per dissociarsi dall’adesione diffusa alla prospettiva armata e dall’imposizione a immedesimarsi con la volontà di dominio del governo e dell’esercito. Nel 1991 Yvonne Deutsch, un’altra delle fondatrici del gruppo, espresse con molta chiarezza questi concetti:

«La crescita di consapevolezza politica e femminista e il cambiamento degli atteggiamenti sono legati fra loro in un faticoso processo in cui è necessario mettere in discussione problemi esistenziali come l’autodeterminazione, l’appartenenza, l’alienazione, l’essere donna, l’essere uomo, l’atteggiamento verso l’esercito, la guerra, la pace, la giustizia, la violenza e il nazionalismo. Questi problemi che riguardano convinzioni, valori e identità sono stati approfonditi in vario grado a seconda della sicurezza personale e del senso di identità e a seconda della nostra età e della nostra classe sociale.

L’attività politica, in tempo di crisi di identità e di valori, rappresenta l’unione fra il politico e il personale. Noi suscitiamo nella pubblica coscienza problemi di significato emotivo e politico e questo è coerente con la nostra convinzione che la frattura fra il personale e il politico abbia un effetto distruttivo e consenta l’esistenza del male dentro di noi. Oltre ai problemi del ruolo delle donne nella costruzione della pace e dell’influsso dell’occupazione sulla vita delle donne, abbiamo anche posto il problema del razzismo, del pregiudizio e della paura quali ostacoli sulla via della pace.

In questo labirinto e in questa confusione ci sono fra noi alcune che intendono creare una cultura politica delle donne – una cultura di pace»

QUALI FURONO I PRIMI PROBLEMI CHE INCONTRARONO?

Proprio rifacendosi a riflessioni simili a quelle di Yvonne Deutsch che ho riportato sopra, Cynthia Cockburn, donna in nero inglese, femminista e attivista per la pace sin dai tempi di Greenham Common, che si era proposta di scrivere la storia del movimento dalle origini ai nostri giorni, ma morì prima di verla terminata,  rilevava che non soltanto si trattava di un “processo faticoso”, ma che le donne del movimento vivevano rispetto ad esso profonde contraddizioni, nello sforzo di districarsi dal labirinto confuso della loro società.

  «Si dava per certo che essere bene armati era essenziale per la sopravvivenza di Israele, considerata l’ostilità delle nazioni arabe che la circondavano. Le donne quindi non invocavano lo scioglimento delle Forze di Difesa Israeliane. In quanto pacifiste non potevano essere entusiaste del modo in cui la militarizzazione plasmava il carattere e il comportamento degli uomini ebrei di Israele. Tuttavia questo entrava in conflitto con la necessità di valorizzare la forza militare maschile, in antitesi all’immagine odiosa dell’ebreo della Diaspora, debole e perseguitato. Nel contesto dell’Occupazione, tale ambivalenza oscurava nelle donne la capacità di percepire i loro mariti e figli come oppressori.»

QUALI RIPERCUSSIONI EBBERO LE DONNE IN NERO PER LE RELAZIONI TRA LE EBREE E LE ARABE?

In primo luogo – osservava Cynthia – l’iniziativa era volta a porre fine all’Occupazione da parte dello Stato di Israele (a maggioranza ebraica) dei territori della Cisgiordania e di Gaza (con una popolazione prevalentemente arabo-palestinese). Perciò le ebree israeliane per raggiungere le arabe-palestinesi dovettero attraversare il confine della Linea Verde, così come a Tel Aviv, Haifa, Nazareth donne della minoranza arabo-palestinese in Israele presero parte alle manifestazioni fianco a fianco con donne ebree. Il significato stesso della relazione cambiò e apparvero orizzonti più equilibrati: da entrambe le parti ci furono donne che per la prima volta nella loro vita ebbero contatti personali con “l’altra”, in uno scambio di pensieri, esperienze, emozioni che aiutò ad andare oltre gli stereotipi: per esempio, per cercare di capire che cosa stesse provando la tua vicina se sentivi che oltre ai soliti insulti sessisti a lei ne venivano rivolti anche altri prettamente razzisti. A questo proposito Gila commenta che ne scaturì un impulso a radicalizzarsi, andando più a fondo nell’impasto delle disparità di genere, etnia, provenienza, religione, classe che stratificava le loro esistenze.

DOVE SI DIFFUSE IL MOVIMENTO DELLE DONNE IN NERO?

Secondo il racconto di Cynthia Cockburn, l’idea e la pratica delle Donne in Nero attraversò l’Atlantico e giunse negli Stati Uniti con sorprendente velocità, grazie alla presenza in quel paese di ebree attiviste per la pace, anche loro desiderose di prendere iniziative più efficaci dopo lo scoppio dell’Intifada. La prima manifestazione si tenne in Minnesota già a febbraio del 1988, ma nel giro di sei mesi furono numerosi i gruppi che adottarono questa modalità nuova e di forte impatto e decisero di dimostrare una volta alla settimana in città grandi e piccole.

La scritta ricorrente era “Basta con l’Occupazione” e in genere partecipavano donne della diaspora ebraica e di quella palestinese, insieme con donne statunitensi. Veniva posta molta attenzione a utilizzare la logica dell’“e/e” e dell’ “entrambe”, per mettere in evidenza con la stessa forza la persecuzione storica del popolo ebraico e l’oppressione di quello palestinese, esercitata oggi da Israele. Da Baltimora alla San Francisco Bay Area, l’iniziativa si estese, diffondendo quello che in altre circostanze – le guerre balcaniche – venne poi chiamato il “contagio simbolico”.

COME AVVENNE L’INCONTRO TRA NUMEROSE PACIFISTE ITALIANE E LE DONNE IN NERO DI ISRAELE?

Nel 1987 vari gruppi del movimento delle donne – in particolare di Torino, Bologna e dell’Associazione per la Pace – delinearono il progetto di un “campo di pace” da realizzare tra donne palestinesi, israeliane, italiane. Dopo poco più di un anno di preparazione esso venne attuato nell’agosto del 1988 e dall’Italia parteciparono sessantanove donne (LINK a sottopagina)

Già durante la fase preliminare vennero compiuti alcuni viaggi per incontrare donne di entrambe le parti e concordare con loro come lavorare insieme. Nella primavera del 1988 le due torinesi incaricate di quel compito vennero a sapere dell’attività delle Donne in Nero, anzi un venerdì vi parteciparono e ne furono talmente colpite da suggerire che anche qui ragionassimo sul “messaggio” che esse intendevano trasmettere, per riprenderne il significato. Quando poi, nel mese di agosto, si tenne il “campo di pace” il contatto e la condivisione si allargarono e diventarono più profondi, al punto che poco dopo il ritorno venne organizzata a Roma la prima manifestazione di sole donne, vestite di nero e in silenzio, davanti all’Altare della Patria, per esprimere il rifiuto del nazionalismo basato sull’orgoglio di guerra.

In seguito l’attività dei gruppi che avevano realizzato l’iniziativa dell’agosto 1988 proseguì per alcuni anni, con nomi diversi in diverse città, finché la I Guerra del Golfo – a gennaio del 1991 – indusse in circa ottanta luoghi a definirci e a manifestare come Donne in Nero, perché ora anche per noi diventava cruciale dissociarci dalla scelta del Governo italiano di inviare truppe per partecipare direttamente alle azioni belliche. Poco più avanti nel corso di quello stesso anno scoppiarono le guerre balcaniche; attraverso contatti tra varie realtà – in particolare una Carovana per la pace che dall’Italia si recò in Jugoslavia – un gruppo femminista e pacifista di Belgrado venne a conoscere il modo e il senso delle manifestazioni in abiti neri e in silenzio iniziate pochi anni prima a Gerusalemme e decise di farlo proprio. (LINK a sottopagina) Così il 9 ottobre 1991 nacquero le Donne in Nero di Belgrado, con una manifestazione da cui ebbe inizio una storia di estrema radicalità e coraggio, che è riuscita a proseguire sino ad ora, senza mai smettere di denunciare e contrastare il militarismo, il nazionalismo, il maschilismo, il fascismo da cui era e resta pervasa quella società.

QUALI EFFETTI PRODUSSE L’ESPERIENZA DELLE DONNE IN NERO?

Nel 1996 Gila Svirsky concludendo il suo libro, Standing for Peace, in primo luogo sottolineò l’importanza della trasformazione personale vissuta da molte che prima di allora non erano mai state coinvolte politicamente e che maturarono nuove priorità, abbandonando il conformismo delle posizioni ufficiali. Partecipare alle manifestazioni portò a radicalizzare e rafforzare la propria consapevolezza: reggere per settimane – o addirittura per anni – mantenendo il silenzio della nonviolenza in mezzo a grida rabbiose e offensive, aumentò la fiducia in sé e la determinazione a continuare. Ne derivò anche un maggiore apprezzamento dei valori e degli atteggiamenti del femminismo: non ogni partecipante si definiva come “femminista”, ma la condivisione dei processi decisionali e il sostegno reciproco senza gerarchie avvicinò tutte alla prospettiva femminista basata sulle relazioni.

Tuttavia, a questa storia di radicali cambiamenti soggettivi non hanno corrisposto cambiamenti altrettanto radicali sul piano concreto dell’affermazione dei diritti individuali e collettivi della popolazione palestinese. Anzi, se nel 1996 Gila prendeva atto con dolore che la vicenda non stava approdando ad alcun “happy ending”, da allora la situazione è sempre peggiorata e la possibilità che venga addirittura cancellata l’esistenza autonoma del popolo palestinese – come territorio e come denominazione – si è continuamente inasprita, fino alle minacce ancora più dure di questi giorni.

DOBBIAMO DUNQUE CONCLUDERE CHE L’IMPEGNO DELLE DONNE IN NERO E’ STATO INUTILE?

Non lo penso, prima di tutto perché i processi soggettivi di presa di coscienza e di trasformazione del proprio modo di pensare, riuscendo a sottrarsi alla pressione dei valori dominanti, sono stati – e tuttora sono – di fondamentale importanza per il modo in cui ciascuna donna si vive e si colloca nella società. In secondo luogo, la potenza del “messaggio” lanciato da Gerusalemme è stata dimostrata dalla forza di attrazione per cui in un gran numero di altri luoghi esso è stato ripreso, ma al tempo stesso è stato riadattato in base alle specificità locali.

Richiamo in particolare il caso delle Donne in Nero di Belgrado, cui avevo accennato sopra. Ad esse siamo tutte debitrici della particolare incisività con cui hanno accoppiato pratiche innovative e approfondimenti teorici a largo raggio. Uno dei loro punti di forza consiste nella tensione a stabilire reti di collaborazione e solidarietà non solo al proprio interno, ma tanto con attiviste aventi storie politiche ed esistenziali diverse quanto con le donne di cui era più difficile conquistare la fiducia: bosniache, soprattutto, che avevano visto e subito gli orrori perpetrati dall’esercito serbo e che non potevano – almeno all’inizio – non guardare a loro se non come a nemiche. Eppure con un lungo lavoro di incontri personali e di costruzione di relazioni venne messo a punto un percorso partecipativo, che portò nel 2015 a realizzare a Sarajevo il “Tribunale delle donne. Un approccio femminista alla giustizia”, ad opera di un insieme di organizzazioni, coordinate appunto dalle Donne in Nero di Belgrado.

Non mi soffermo su come quell’iniziativa si è svolta, è proseguita, si riallaccia tuttora all’ampio arco di attività in cui le Donne in Nero di Belgrado sono impegnate. Altre tra le presenti ne possono parlare in modo ben più approfondito, poiché hanno partecipato ai momenti principali del percorso e mantengono da anni forti relazioni con donne e gruppi dei Balcani.

Desidero piuttosto terminare rifacendomi alle riflessioni di Gila Svirsky circa la distanza che può esistere tra radicalità dei cambiamenti soggettivi e mancanza di efficacia concreta. A me pare convincente una considerazione che si può trarre dalle numerose e profonde elaborazioni teoriche delle Donne in Nero di Belgrado: rendendo esplicito il significato della loro scelta antinazionalista e antimilitarista, rispetto a un contesto segnato dal patriarcato, esse hanno tracciato un orizzonte alternativo di donne autonome e autodeterminate, che solo nutrendosi di pensieri e emozioni differenti possono agire diversamente. L’esortazione a “smilitarizzare le menti” ne è a mio parere una sintesi efficace: come scriveva già nel 1992 Yvonne Deutsch, per un cambiamento decisivo dello stato delle cose presenti, occorre che si affermi «una cultura politica delle donne – una cultura di pace».

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DONNE IN NERO, OVVERO LA POLITICA DELLE RELAZIONI

di Annalisa Comuzzi

Annalisa Comuzzi era Insegnante di Materie letterarie, e anima del movimento nonviolento a Padova. Tra le fondatrici di Donne in nero, si è spesa soprattutto per la causa palestinese e la Bosnia ferita dalla guerra. Faceva parte della rete Radié Resch per lo sviluppo di Haiti. Mancata il 2/08/2021 

Il testo qui pubblicato è quello della sua relazione all’incontro per il trentennale delle donne in nero di Padova, 20 settembre 2019

 

Interrogando prima di tutto me stessa, mi sono chiesta se il valore di questa espressione non si sia un pò appannato; spesso, infatti, riteniamo le relazioni tra donne un riferimento così certo del nostro agire comune che ci dimentichiamo di ritornare ai suoi significati più profondi, trascuriamo di rinnovare questa categoria politica, di metterla alla prova del presente, di farla interagire con la nostra quotidianità di attiviste.

L’essere tornata da poco da Belgrado, l’aver partecipato la scorsa settimana, insieme a Giannina Dal Bosco e Luisa Morgantini all’incontro della Rete delle Donne in Nero dei Balcani, mi ha aiutata a mettere in ordine i pensieri, a costruire la riflessione che provo a sottoporvi.

DAL FEMMINISMO DELL’EMANCIPAZIONE AL FEMMINISMO DELLA DIFFERENZA

Credo che non si possa parlare di politica delle relazioni senza ammettere un debito di riconoscenza nei confronti di un gesto inaugurale, di uno strappo teorico e pratico compiuto agli inizi degli anni Settanta dalle donne che diedero vita al femminismo della differenza sessuale. Mi riferisco in particolare a Carla Lonzi e alle sue compagne di Rivolta femminile che per prime sperimentarono la modalità politica dell’autocoscienza e del  separatismo.

La pratica dell’autocoscienza vedeva proprio nella relazione tra donne, nel dialogo che tra loro si intrecciava, la possibilità di sottrarsi all’autorità maschile, di aprire uno spazio al comune desiderio di autonomia, di uscita da una condizione di oppressione che si scopriva essere personale e insieme collettiva. 

Attraverso la parola scambiata e liberamente assunta, a partire da sé, dalla propria singolare esistenza, dalle storie iscritte nei corpi di ciascuna, si realizzava un riconoscimento reciproco, che restituiva «senso e misura a quello che una donna faceva, pensava, voleva».

Se fino a quel momento la relazione con l’uomo era percepita come ineludibile, naturale e obbligata, sia nel conflitto che attraversava i rapporti personali, sia nelle lotte fino allora ingaggiate tra i due sessi, il femminismo della differenza modificava la prospettiva e introducendo una discontinuità radicale con il passato, poneva al centro della propria proposta politica la relazione tra donne.

Al femminismo della rivendicazione, dell’emancipazione, che indicava un orizzonte di parità, di eguaglianza e di complementarietà con gli uomini, il nuovo femminismo mostrava alle donne la possibilità di connotare «la propria esistenza nel mondo senza conformarla a quella dell’altro sesso». Si creava per le donne l’occasione di divenire soggetto di discorso, di significarsi liberamente, fuori dal linguaggio e dal sistema simbolico con cui gli uomini le avevano nominate e rappresentate.

Il femminismo della differenza non opponeva il maschile e il femminile, non li collocava in una posizione di antitesi, dentro una dialettica che come quella del «servo-padrone» prevede l’eliminazione di uno dei due soggetti, né li situava dentro un’ipotesi di adeguamento dell’uno nei confronti dell’altro; li vedeva invece muoversi su due piani distinti che sono quelli dell’alterità e della differenza, appunto

Mi pare che di questa rivoluzione di senso, capace di coinvolgere in pochi anni generazioni diverse di donne, in tanti spazi geografici e culturali, si siano avvantaggiate anche le Donne in Nero, fin dal loro primo comparire sulla scena pubblica nelle terre di Israele.

COME AVVENNE L’INCONTRO TRA IL FEMMINISMO E IL PACIFISMO?

Credo che il merito del nostro movimento sia stato fondere gli elementi fecondi che derivavano dal nuovo femminismo con la prospettiva pacifista e nonviolenta, immettendo questi principi nell’asprezza di aree di guerra dove la Rete internazionale è nata.

Porto qui due esempi che mi sembrano utili per ripensare a noi stesse.

Il primo ci conduce nella città di Gerusalemme alla fine degli anni ’80, dove alcune donne israeliane compirono un atto pubblico di disobbedienza, di sottrazione di sé all’ideologia dominante.

Anziché aderire alle richieste del proprio stato che in nome dell’unità nazionale le spingeva a schierarsi contro un nemico esterno, le donne seppero individuare all’interno della propria parte, delle proprie istituzioni, quelle scelte di violenza, di oppressione che non avrebbero potuto condividere. Partendo da sé, facendo emergere la propria soggettività, agirono una ribellione profonda, rifiutando le politiche di occupazione dei Territori palestinesi, intrecciando con le donne palestinesi, con la parte additata come nemica, i fili di una relazione umana e politica finalizzata al superamento del conflitto con gli strumenti della nonviolenza, della trattativa diplomatica, della diplomazia dal basso.

Il secondo esempio ci porta nella Serbia del 1991, alla vigilia di un ciclo di guerre che avrebbero condotto alla dissoluzione della Jugoslavia. Anche lì alcune donne, in un contesto di nazionalismo esasperato, di militarizzazione dello stato, di mobilitazione forzata, riuscirono ad affermare la propria autonomia e a denunciare pubblicamente il proprio governo, guidato da Slobodan Milosevic, per la devastazione che era appena iniziata. Le donne, rivolte ai politici e ai militari dicevanoNon parlate a nome nostro; noi parliamo per noi stesse”. Parlare in prima persona, assumere una responsabilità individuale di opposizione alla guerra, rifiutare il ruolo di vittime, sono divenuti pratica quotidiana di queste attiviste.

Attiviste che all’inizio delle operazioni militari non si sono fatte corrompere dalla martellante propaganda di regime; nel momento della massima chiusura, di arroccamento nazionalista di un’intera società, hanno scelto l’apertura. All’uniformità identitaria hanno preferito la pluralità, alla mistica dei sacri confini della patria hanno scelto il superamento delle frontiere politiche, culturali, simboliche. All’immobilismo e alla paura hanno opposto la capacità di viaggiare, di raggiungere le aree più insidiose del conflitto, di mantenere, creare, sviluppare relazioni con donne di altre nazionalità, con cui hanno avviato legami di fiducia, di sorellanza, di ascolto, di accoglimento delle singole storie di vita, di comune tensione verso un futuro senza guerre, separazioni, divisioni.

Ed è significativo che negli anni più duri degli scontri armati, proprio da Novi Sad, città dei tanti ponti sul Danubio, si realizzassero quei Convegni internazionali delle donne contro la guerra che hanno consentito di costruire una rete di Donne in Nero provenienti da tutte le regioni dei Balcani, dall’Europa, dal Medio Oriente.

COME SI E’ ARRIVATI AL TRIBUNALE DELLE DONNE DI SARAJEVO?

Mi pare importante ricordare come agli inizi del 2000, nei primi mesi del dopoguerra, nel momento di una forte repressione politica attuata in Serbia dal vacillante regime di Milosevic nei confronti dei movimenti e delle forze di opposizione,  le donne abbiano saputo uscire dalla città “assediata”, decidendo di non farsi trovare là dove il potere voleva costringerle, scegliendo di viaggiare ancora, di ascoltare, incontrare, contagiare simbolicamente altre realtà periferiche, mettendo in piedi quei seminari itineranti che si svolgevano in cittadine e villaggi lontani dalla capitale e avevano la funzione di ampliare e consolidare una tessitura di legami politici e personali che sono stati determinanti per poter avviare, a partire dal 2010, l’esperienza del Tribunale delle Donne di Sarajevo.

Senza questa solida rete di relazioni, senza una politica della cura messa in atto nei confronti delle amicizie e dei contatti intrecciati nel tempo, non sarebbe stata possibile la realizzazione di un progetto ambizioso e faticoso, quello del confronto con la propria storia recente, della denuncia dei crimini di guerra compiuti nei Balcani, della richiesta di giustizia avanzata dalle donne per le violenze e le ingiustizie subite, della critica severa mossa nei confronti delle istituzioni giudiziarie – nazionali e internazionali – che non avevano saputo corrispondere a un bisogno profondo di legalità, di riconoscimento dei reati commessi.

Si è trattato di un percorso analogo a quello intrapreso in Colombia dalla Ruta Pacifica de las Mujeres, protagoniste tra il 2010 e 2013 di un imponente lavoro di ricerca e documentazione per istituire una Commissione verità e memoria delle donne vittime del conflitto armato che ha devastato il Paese negli ultimi cinquant’anni. Anche in questo caso, la politica delle relazioni è risultata l’elemento indispensabile per poter raggiungere e intervistare più di mille donne, di differenti età e luoghi di provenienza, che con la loro testimonianza e la rivisitazione del proprio percorso di vita hanno dato forma a una memoria collettiva e delineato una verità che a pieno titolo pretende di essere accolta e riconosciuta nella storia recente di quel luogo

Mi rendo conto che le parole finora pronunciate potrebbero essere percepite come un elogio eccessivo, una celebrazione delle Donne in Nero, in particolare di quelle dei Balcani, sulle quali mi sono a lungo soffermata.  Penso però che nel contesto europeo della nostra Rete questa realtà sia, al momento, la più vivace e dinamica e dunque capace di sollecitarci in positivo nel nostro fare e pensare. Proprio a Belgrado, infatti, nel recente incontro a cui abbiamo partecipato, in cui abbiamo visto rinnovarsi un dialogo fra donne bosniache, croate, serbe, slovene, montenegrine, macedoni, turche, spagnole e italiane, proprio lì è stato posto l’interrogativo sullo stato della nostra Rete europea e internazionale.

In ogni caso, come ognuna di noi sa bene, la politica delle relazioni tra donne non configura uno spazio idilliaco, pacificato e di per sé armonioso. Contempla, invece, la differenza, la diversità di opinioni, non si appiattisce sull’unanimismo, sulla convergenza, prevede anche il conflitto che in sé è sempre vitale. A differenza della tradizione politica maschile, rifiuta però lo strumento distruttivo dell’odio; sceglie di usare la parola e la comunicazione anziché la forza e la violenza.

AL PENSIERO DI QUALE “MADRE” DEL FEMMINISMO LA POLITICA DELLE D.I.N. E’ ISPIRATA?

Ho sempre pensato che le modalità d’intervento delle Donne in Nero sulla scena pubblica si avvicinino molto alla concezione della politica elaborata da una grande filosofa, Hannah Arendt, una pensatrice che mi è particolarmente cara.

In Vita activa, una delle sue opere maggiori, Hannah Arendt sostiene che l’agire politico (la pratica in cui l’essere umano esprime pienamente la propria libertà e infonde senso alla sua esistenza) si rende possibile là dove più soggetti, ognuno di quali è unico e irripetibile, sono capaci di interazione e comunicazione.

Lo spazio politico non è costituito per Arendt da una patria, da una nazione, da una terra[15]. E’ uno spazio relazionale generato dalle persone che vivono insieme e realizzano un ambito autentico di azione e di discorso. E’ in questo rapporto di reciprocità che l’azione politica può esprimersi; è in questo spazio connotato dalla pluralità che si può generare l’inatteso, che si può compiere ciò che è infinitamente improbabile, spezzando ciò che è dato e sembra immutabile e sempre identico a se stesso.

Scrive Arendt: «La polis, propriamente parlando, non è la città stato in quanto situata fisicamente in un territorio; è l’organizzazione delle persone così come scaturisce dal loro agire e parlare insieme […] , indipendentemente dal luogo in cui si trovano. “Ovunque andrete voi sarete una polis”: queste parole famose non solo furono la parola d’ordine della colonizzazione greca, ma esprimevano la convinzione che l’azione e il discorso creano uno spazio tra i partecipanti che può trovare la propria collocazione pressoché in ogni tempo e in ogni luogo. E’ lo spazio dell’apparire, nel più vasto senso della parola: lo spazio dove appaio agli altri come gli altri appaiono a me, dove gli uomini [e noi potremmo aggiungere le donne] non si limitano a esistere come le altre cose viventi o inanimate, ma fanno la loro esplicita apparizione».

Sono assunti, quelli di Hannah Arendt, a cui mi sento di aderire completamente, perché rimandano alla possibilità, data a ciascuna di noi, di dar luogo, grazie alla relazione con altre/i, ad una azione che può inaugurare il nuovo, può essere occasione di cambiamento.

Si dice ancora in Vita activa«Il corso della vita umana diretto verso la morte condurrebbe inevitabilmente ogni essere umano alla rovina e alla distruzione se non fosse per la facoltà di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facoltà che è inerente all’azione, e ci ricorda in permanenza che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per incominciare».

In un tempo di profonda crisi del sistema della rappresentanza, dei partiti e della sinistra in Italia, queste parole mi confortano; le percepisco come una sollecitazione a riaffermare il valore della politica delle relazioni nella nostra quotidianità di attiviste. Le avverto come uno sprone a rilanciare le possibilità d’incontro della nostra Rete nazionale, a contrastare l’abitudine che ci porta ad essere impegnate prevalentemente nella sfera cittadina, a restare troppo vincolate alla dimensione locale, esposte al rischio di veder inaridire e spegnere le nostre capacità progettuali.

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LE DONNE IN NERO IN ITALIA E NEL MONDO
da womeninblack.org

Chi sono le Donne in Nero?

Le Donne in Nero sono una rete internazionale di donne impegnate nella pace con giustizia e si oppongono attivamente all’ingiustizia, alla guerra, al militarismo e alle altre forme di violenza. In quanto donne che hanno sperimentato tutto questo in modi differenti in diverse regioni del mondo, ci sosteniamo reciprocamente nei vari movimenti. Un punto cruciale è la sfida alle politiche militariste dei nostri governi. Non siamo un’organizzazione, ma un mezzo di comunicazione e una formula per agire.

 

I presidi delle Donne in Nero

Qualsiasi gruppo di donne, ovunque nel mondo, in qualsiasi momento può organizzare una vigil (cioè un presidio silenzioso) contro qualsiasi forma di violenza, militarismo o guerra. Le azioni delle Donne in Nero (Women in Black, WIB) sono generalmente formate da sole donne, che restano in piedi in un luogo pubblico, in silenzio, realizzando presenze nonviolente, a intervalli di tempo regolari, tenendo dei cartelloni e distribuendo volantini.

Altre azioni nonviolente:

Usiamo forme di azioni non violente e non aggressive. Oltre alle vigil i gruppi delle Donne in Nero usano molte altre forme di azioni dirette nonviolente, come sedersi per terra per bloccare una strada, entrare nelle basi militari e altre zone proibite, rifiutandosi di accettare ordini, e “portando testimonianza”. Indossare il nero in alcune culture significa lutto, e l’atto femminista di vestirsi in nero trasforma il lutto passivo tradizionale delle donne per il morto in guerra in un potente rifiuto della logica della guerra.

Un movimento internazionale

E’ impossibile sapere esattamente quanti gruppi di WIB esistono, quante donne comprendono e quante azioni ci sono state. Quando nel giugno 2001 le Donne in Nero hanno indetto una vigil contro l’Occupazione delle terre dei Palestinesi, risposero non meno di 150 gruppi di WIB da tutto il mondo. Fra le nazioni di cui si sa che fanno i presidi ci sono Australia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Canada, Danimarca, Inghilterra, Italia, Francia, Germania, India, Israele, Giappone, Isole Maldive, Messico, Olanda, Irlanda del Nord, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia e USA. Si stima che globalmente possano essere coinvolte 10.000 donne.

Solidarietà internazionale delle donne

Conferenze e incontri delle WIB si sono tenute in vari luoghi, in particolare a Gerusalemme, Pechino, Serbia e Bruxelles e in Italia nel 2003. L’incontro più recente è stato il diciottesimo, e si è svolto nel 2021 in Armenia. Nel 2001 le Donne in Nero hanno ricevuto il Millennium Peace Prize for Women dal Fondo per lo Sviluppo delle Donne delle Nazioni Unite, (UNIFEM) e International Alert. Le Donne in Nero di Israele/Palestina e della ex-Iugoslavia sono state anche nominate per il Nobel e per il Right Livehood Award.

Una prospettiva femminista

I gruppi delle Donne in Nero non hanno una costituzione o un manifesto-ma la nostra posizione è chiarita dalle nostre azioni e dalle nostre parole. E’ evidente, per esempio, che noi abbiamo una visione femminista: la violenza maschile contro le donne nelle vita domestica e nella comunità, in tempo di pace e di guerra sono in relazione. La violenza è usata come mezzo per controllare le donne. In alcune regioni, uomini che condividono questa analisi sostengono e aiutano le WIB e le WIB sostengono gli uomini che si rifiutano di combattere.

Diverse esperienze di guerra delle donne. L’attivismo pacifista di sole donne non fa pensare che le donne, non più degli uomini, siano “per natura fautrici di pace”. Ma le donne spesso hanno culture differenti dagli uomini, e sono sproporzionatamente coinvolte nel lavoro di cura. Sappiamo ciò che giustizia e oppressione significano, perché le sperimentiamo in quanto donne. La maggior parte delle donne ha una esperienza della guerra differente da quella degli uomini. Tutte le donne in guerra hanno paura dello stupro. E donne sono la maggioranza dei rifugiati. Un punto di vista femminista vede le culture maschili come particolarmente inclini alla violenza, e quindi le donne femministe tendono ad avere un particolare punto di vista sulla sicurezza e qualcosa di unico da dire sulla guerra.

Voci di donne varie e diverse

WIB include donne di molti contesti etnici e nazionali, che cooperano attraverso queste (e altre) differenze nell’interesse della giustizia e della pace. Lavoriamo per un mondo dove differenza non significa ineguaglianza, oppressione o esclusione. Le voci delle donne sono spesso soffocate in azioni miste tra uomini e donne. Quando parliamo tra donne ciò che le donne dicono è veramente ascoltato.

Scegliendo le nostre proprie forme di azioni

Qualche volta persino le manifestazioni pacifiste diventano violente, e essendo solo donne possiamo scegliere forme e azioni con le quali ci sentiamo a nostro agio, nonviolente e espressive. Manifestare insieme dà un senso di ricchezza e uno scopo alle nostre varie esperienze, solidarietà e un punto di vista specifico in quanto donne. Le donne nelle regioni differentemente collocate in relazioni a conflitti armati, sia chi vive in realtà che attuano la violenza sia quelle che ne sono le vittime, possono darsi sostegno l’un l’altra. Insieme possiamo educare, informare e influenzare l’opinione pubblica, e quindi cercare di rendere la guerra una opzione impensabile.

In Italia 

Ci sono gruppi di Donne in nero in varie città italiane. Non abbiamo ancora dati aggiornati per il 2024, ma nel giugno 2023 tali città comprendevano: Alba, Bergamo, Bologna, Fano, Mirenese & Riviera de Brenta, Modena, Napoli, Padova, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Roma, Savona, Torino, Udine, Verona.

Questi sono i loro contatti:

Alba

Email:    dinalba13@gmail.com

Bergamo

Email:    din-bergamo@googlegroups.com

Bologna

Email:    donneinnero.bo@gmail.com; Facebook: https://www.facebook.com/people/Donne-in-nero-Bologna/100064456639391/

Fano

Email:    donneinnerofano@gmail.com

Mirenese & Riviera del Brenta

Email:    donneinneromiraneseriviera@googlegroups.com

Modena

Email:     rossperruccio@gmail.com

Napoli

Email:     donneinneronapoli@gmail.com

Padova

Email:     donneinnero1.padova@gmail.com

Parma

Email:     donneinneroparma@gmail.com;   Facebook: https://www.facebook.com/donneinneroparma/

Piacenza

Email:      dinpiacenza@gmail.com; Facebook: https://www.facebook.com/Fuori-la-guerra-dalla-storia-Donne-in-nero-Piacenza-108986440757052/

Ravenna

Email:       donneinneroravenna@gmail.com     Website: https://casadelledonneravenna.wordpress.com/donne-in-nero-ravenna/

Reggio Emilia

Email:      donneinnero.re@gmail.com

Roma

Email:      donne-in-nero-di-roma@googlegroups.com

Torino

Email:      din.torino@gmail.com

Udine

Email:      donneinneroud@gmail.com

Verona

Email:      donneinnero.vr@gmail.com

Archivio Donne in Nero, fino al 2020

http://donneinnero.blogspot.com/

Approfondimenti dall'archivio

Datatable - Inizio
Documenti
Appello dell'assemblea dei movimenti sociali | Forum Sociale Europeo | Appello Appello dell’assemblea dei movimenti sociali per la manifestazione unitaria del 20 marzo | 17-10-1984 | Parole chiave: Forum Sociale Europeo, Guerra del Golfo, Iraq, Palestina
Dialogo, negoziati, speranze tradite | aavv | Cronologia del processo di pace Palestina-Israele fra la prima e la seconda intifada (1987-2000) | 01-01-1987 | Parole chiave: Palestina
Qualche riflessione | Alessandra Mecozzi | Brano di Alessandra Mecozzi tratto da "Donne a Gerusalemme. Incontri tra italiane, Palestinesi; Israeliane" edito da Rosenberg&Sellier | 25-08-1988 | Parole chiave: Donne, Palestina
Convegno incontri e schieramenti | Raffaella Lamberti | Brano tratto da "Donne a Gerusalemme. Incontri tra italiane, palestinesi e israeliane" (Rosenberg & Sellier). Il racconto di "Visitare luoghi difficili" | 26-08-1988 | Parole chiave: Palestina, donne
Non ci basta dire basta. 100 donne a Gerusalemme | . | Incontro fra donne palestinesi, israeliane ed italiane. Documenti conclusivi. | 29-08-1988 | Parole chiave: Palestina
1988. Gerusalemme. Non ci basta dire basta | Chiara Ingrao | Brano di Chiara Ingrao tratto dal libro "Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti" | 30-08-1988 | Parole chiave: Palestina
Le ragioni dell'impegno | Tom Benetollo | Sulla manifestazione dell'11.02.1989 per la Palestina e lancio di Time for Peace | 13-02-1989 | Parole chiave: Manifestazione, Palestina, Tom Benetollo
I 6 punti di iniziativa dell'Associazione per la pace | Associazione per la pace | Documento diviso in sottocapitoli con le iniziative per l'anno 1989 | 01-03-1989 | Parole chiave: Antimilitarismo, Associazione per la Pace, Euromissili, La Maddalena, Palestina, Referendum autogestito, diritti umani
Il percorso di Time for Peace nel ricordo di una protagonista | Chiara Ingrao | Capitolo 2 del libro di Chiara Ingrao "Salaam Shalom. Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti" Datanews, 1993 | 11-05-1989 | Parole chiave: Palestina, Time for Peace
Aiutiamo i ragazzi dell'Olivo | Giovanni De Mauro | Intervista a Tom Benetollo su l'Unità in cui si racconta l'idea di Arciragazzi e di Agesci | 12-05-1989 | Parole chiave: Aiuti umanitari, Palestina, Tom Benetollo
I perché della campagna di Salaam | La segreteria di Salaam e Renzo Maffei | Numero speciale di Arci notizie, ricchissimo di contenuti tra cui il disegno L'Assediata. Ringraziamo Arci Valdera e Arci Ragazzi Valdera per averci messo a disposizione il materiale documentale dei primi anni di Salaam. | 15-05-1989 | Parole chiave: Palestina
Salaam Ragazzi dell'Olivo | Renzo Maffei | Reportage con foto di Donatella Salcioli. Ringraziamo Arci Valdera e Arci Ragazzi Valdera per averci messo a disposizione il materiale documentale dei primi anni di Salaam. | 16-05-1989 | Parole chiave: Palestina
Dear Tzali | Tom Benetollo | Lettera dattiloscritta a firma di Tom Benetollo indirizzata a Tzaly, esponente di Peace Now per annunciare l'iniziativa di Time for Peace | 16-07-1989 | Parole chiave: Time for Peace, Tom Benetollo
Lettera di Tom per Time for Peace | Tom Benetollo | Lettera dattiloscritta a firma Tom Benetollo indirizzata alle associazioni e alle organizzazioni per varare il sostegno a Time for Peace | 29-07-1989 | Parole chiave: Gerusalemme, Palestina, Time for Peace, Tom Benetollo
Time for Peace: la piattaforma politica | aavv | Punti politici concordati con le associazioni israeliane e palestinesi | 06-11-1989 | Parole chiave: Palestina, Time for Peace
Time for Peace: chi siamo | aavv | Le organizzazioni promotrici italiane ed europee | 10-11-1989 | Parole chiave: Gerusalemme, Manifestazione, Palestina, Time for Peace
Le istituzioni e le organizzazioni palestinesi | aavv | Nome e descrizione delle organizzazioni palestinesi che hanno partecipato e sostenuto Time for Peace | 11-11-1989 | Parole chiave: Palestina, Time for Peace
Ghassan Khatib: un compagno di strada da sempre | Chiara Ingrao | Profilo del coordinatore delle organizzazioni palestinesi partecipanti alle iniziative di “1990: Time for Peace” | 12-11-1989 | Parole chiave: Palestina
Il movimento per la pace in Israele | aavv | Da Peace now alle Donne in nero, ma anche il Centro internazionale per la pace in Medio Oriente, Palestinesi e Israeliani per la nonviolenza, la Lega per i diritti umani e civili e tantissime realtà che hanno aderito e sostenuto Time for Peace | 13-11-1989 | Parole chiave: Gerusalemme, Palestina, Time for Peace
Gruppo Martin Buber | aavv | Due articoli sul Gruppo Martin Buber, ieri e oggi | 14-11-1989 | Parole chiave: Palestina, Time for Peace
2500 ragazzi presi in affidamento: un buon segno | aavv | Terzo bollettino informativo di Salaam Ragazzi dell'olivo con un editoriale di Renzo Maffei. Ringraziamo Arci Valdera e Arci Ragazzi Valdera per averci messo a disposizione il materiale documentale dei primi anni di Salaam. | 04-12-1989 | Parole chiave: Palestina
Time for Peace Programma | aavv | Programma in sintesi | 25-12-1989 | Parole chiave: Palestina, Time for Peace
Come orientarsi nel labirinto. Il programma dettagliato giorno per giorno | aavv | Programma dettagliato e informazioni logistiche | 26-12-1989 | Parole chiave: Gerusalemme, Palestina, Time for Peace
Luoghi di pace, luoghi di conflitto | aavv | Calendario delle visite, dal numero monografico di Arcipelago dedicato a Time for Peace | 27-12-1989 | Parole chiave: Gerusalemme, Palestina, Time for Peace
Il nostro impegno per la pace | Chiara Ingrao | Intervento di Chiara Ingrao a una delle assemblee di apertura di “1990: Time for Peace”, Teatro Al Hakawati, Gerusalemme est | 28-12-1989 | Parole chiave: Gerusalemme, Palestina, Time for Peace
"Giuro che lo rifarei". Marisa rientra a Roma | Cristiana Torti | Delegazione in visita a Marisa Manno in ospedale | 04-01-1990 | Parole chiave: Time for Peace
Time for Peace bilancio di una sfida | Tom Benetollo, Chiara Ingrao | Resoconto, pubblicato da L'Unità, di "una vittoria per il movimento pacifista europeo" | 24-01-1990 | Parole chiave: Palestina, Time for Peace, Tom Benetollo
Un grande successo. Tante nuove scommesse | aavv | Resoconto da Time for Peace. Pubblicato su Arcipelago | 08-02-1990 | Parole chiave: Gerusalemme, Palestina, Time for Peace
L' Italia ripudia la guerra | Comitato promotore della manifestazione del 12 gennaio 1991 | Comunicato stampa unitario | 10-01-1991 | Parole chiave: Guerra del Golfo, Iraq, Palestina
Risoluzione approvata dal Senato italiano sulla guerra | Mancino, Fabbri, Gualtieri, Bono Parrino, Candioto | Testo integrale della Risoluzione | 17-01-1991 | Parole chiave: Guerra del Golfo, Iraq, Libano, Palestina
Documenti assemblea Donne in nero | aavv | Il foglio del Paese delle donne | 15-02-1991 | Parole chiave: Donne in nero, Guerra del Golfo
Carovana europea di pace in Jugoslavia | Alex Langer | Rapporto al Parlamento Europeo sulla Carovana della Pace promossa dalla “Helsinki Citizens’ Assembly” (con segretariato a Praga) ed organizzata dall’ “Associazione per la pace” e dall’ARCI | 01-10-1991 | Parole chiave: Balcani
Donne in nero di Belgrado | Donne in nero | un atto di ribellione nonviolento contro la guerra | 09-10-1991 | Parole chiave: Balcani, Donne in nero
Donne in nero di Belgrado e Pacevo | Donne in nero | Testo dell'appello delle Donne in nero di Belgrado per fermare la mobilitazione illegale e anticostituzionale della leva dei riservisti in Serbia | 30-10-1991 | Parole chiave: Balcani, Donne in nero, Serbia
Assopace e Comitato cittadini bosniaci a Roma. Documento di trasporto | Neva Bernardi | Documento dell'Associazione per la pace che attesta la raccolta di 14.350 kg di aiuti umanitari grazie al Comitato Cittadini Bosniaci a Roma. | 22-01-1992 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario, Aiuti umanitari
Italia nonviolenta IV congresso di Assopace | Giulio Marcon | Relazione di Giulio Marcon, la nonviolenza come trasformazione radicale e rivoluzionaria | 26-02-1992 | Parole chiave: Assopace, Balcani, Banca mondiale, Palestina
Tuzla Amica | Tuzla Amica | La storia di Tuzla Amica, un'organizzazione non governativa e senza scopo di lucro, che ha iniziato la sua attività nel 1992, è stata ufficialmente registrata nel 1996 nell'area del Cantone di Tuzla e dal 2004 è registrata presso il Ministero della Giustizia della Bosnia ed Erzegovina | 04-04-1992 | Parole chiave: Balcani, Donne
Contro la guerra nella ex Jugoslavia | Donne in nero di Roma | " Oggi gridiamo all’orrore dei visi senza speranza di migliaia di profughi". Appello delle Donne in nero per la fine della guerra in ex Jugoslavia | 28-05-1992 | Parole chiave: Balcani, Difesa nonviolenta, femminismo
Ex-Jugoslavia: cittadini di pace presentazione del Verona Forum | Alex Langer | Programma della Conferenza di pace dei cittadini dell’ex-Jugoslavia organizzata dal Comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nell’ex-Jugoslavia | 17-09-1992 | Parole chiave: Balcani
Forum per la pace e la riconciliazione nella ex Jugoslavia | Alex Langer | Conclusioni della Prima Arena di Verona, 17/20 settembre 1992 | 22-09-1992 | Parole chiave: Balcani, Alex Langer
Dentro il conflitto | Agostino Zanotti | Venti anni fa, con l'inizio della fine della Jugoslavia, nasce in Italia uno straordinario movimento di solidarietà fatto di convogli umanitari, ospitalità ai profughi e relazioni che continuano ancora oggi. La testimonianza di uno dei protagonisti di quella stagione, segnata dalla strage dei volontari italiani a Gornj Vakuf il 29 maggio 1993 | 30-05-1993 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario
Sarajevo cuore d'Europa | aavv | Volantino di promozione dell'iniziativa di raccolta di aiuti umanitari per Sarajevo | 28-06-1993 | Parole chiave: Aiuti umanitari, Balcani, Sarajevo
Adottate la Pace | Roberta Giordano | "Adotta la pace" iniziativa promossa dall'Arci | 28-07-1993 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario
Cronologia di Mir Sada | aavv | Giorno per giorno, l'esperienza di Mir Sada | 15-08-1993 | Parole chiave: Balcani, Mir Sada, Sarajevo
Lettera di Stasa | Stasa | Lettera di Stasa sul Movimento donne per la pace e sulle Donne in nero | 02-09-1993 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo, donne, femminismo
Disarmiamo l inverno | Ics | Raccolta straordinaria di aiuti per la Bosnia-Erzegovina promossa dal Consorzio Italiano di Solidarietà | 20-12-1993 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo
Da Ancona a Falconara marcia nazionale della solidarietà | Arci, Anpas, Acli, Associazione per la pace | Appello e comunicato stampa di lancio della Marcia Ancona-Falconara | 28-03-1994 | Parole chiave: Balcani, Manifestazione
Il coraggio di fare il primo passo | Hanan Ashrawi | Brano tratto dal libro "La mia lotta per la pace - Autobiografia di una donna scomoda" | 01-02-1995 | Parole chiave: Time for Peace
Qualcuno dopo questo massacro | Gianni D Elia | Recensione al libro "Qualcuno dovrà dopo tutto. Racconti e poesie dalla guerra". Edito da Lunaria in collaborazione con Associazione per la pace. International Peace Center di Sarajevo e Pen Club. Con poesie di, tra gli altri, Gianni D'Elia eTommaso di Francesco | 20-02-1995 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo
Bosnia per fermare la guerra per rilanciare la solidarieta | Associazione per la pace, Arci | Lettera ai parlamentari. Le proposte del volontariato | 31-05-1995 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario
Bosnia per fermare la guerra per rilanciare la solidarieta | Arci, Associazione per la pace | Lettera aperta ai parlamentari | 31-05-1995 | Parole chiave: Aiuti umanitari, Balcani, Intervento umanitario
Sia pace a Gerusalemme | appello unitario | Manifestazione nazionale di solidarietà a cui hanno aderito le più significative forze della sinistra e dell'associazionismo. | 11-09-2000 | Parole chiave: attivismo, diritti umani, manifestazioni, palestina
Le ragioni del corteo dell 11 novembre | Tom Benetollo | Analisi, pubblicata su il Manifesto,sull'importanza della manifestazione unitaria dell'11 novembre | 04-11-2000 | Parole chiave: Palestina, Tom Benetollo, Time for peace
Action for Peace. Missioni civili per la protezione del popolo palestinese | Alessandra Mecozzi | Diario di viaggio di ritorno dalla Palestina in occasione di Action for Peace. | 03-01-2001 | Parole chiave: Palestina, Action for Peace
E ora mettiamolo al bando | Giulio Marcon | Articolo su il manifesto. Sotto il ponte che collega Belgrado a Pancevo vivono in duemila e duecento. Sono rom profughi dal Kosovo, scacciati dalle bombe Nato e dall'Uck. Per loro morire di uranio impoverito può essere addirittura un lusso | 21-01-2001 | Parole chiave: Uranio, Balcani
Capodanno a Gerusalemme | Giulio Marcon | Articolo pubblicato su "il manifesto". Cosa è successo dopo l'assemblea del 17 dicembre? "Osservatori civili" dal 27 dicembre al 3 gennaio in Palestina | 20-12-2001 | Parole chiave: Action for Peace, Palestina
Action for Peace | Raffaella Bolini | Diario dall'assedio di Ramallah per Rinascita | 05-04-2002 | Parole chiave: Action for Peace, palestina
Catena umana per la pace a Gerusalemme | Flavio Lotti | Prima grande manifestazione per la pace promossa insieme da israeliani e palestinesi dopo quasi due anni dalla rottura del processo di pace | 10-06-2002 | Parole chiave: Palestina, manifestazione, Tavola per la pace
In memoria di Rachel Corrie | Rachel Corrie | Estratti da un'e-mail di Rachel del 7 febbraio 2003 concessa dalla sua famiglia | 07-02-2003 | Parole chiave: Palestina
Cittadini e cittadine, teniamoci stretti | Arci | A pochi giorni dall'inizio della guerra in Iraq, volantino dell'Arci: FUORI LA GUERRA DALLA STORIA | 18-03-2003 | Parole chiave: Iraq, Palestina, Rachel Corrie
Riunione Comitato Fermiamo la Guerra | Raffaella Bolini | Verbale della riunione del 20.04.2004 | 20-01-2004 | Parole chiave: Guerra del Golfo, Iraq, Palestina
Anti-war assembly report | . | Report Assemblea contro la guerra, in lingua inglese | 20-01-2004 | Parole chiave: Afghanistan, Forum Sociale Mondiale, Iraq, Palestina, Mumbai
5 ergastoli a Marwan Barghouti: una sentenza tutta politica | Action for Peace | Messaggio di solidarietà a Barghouti, a sua moglie Fadwa e agli attivisti della campagna internazionale "Free Marwan Barghouti" | 08-06-2004 | Parole chiave: Palestina, diritti umani
Forse giustizia e diritto non sono morti. Decisione storica della Corte dell'Aja contro il Muro in Palestina | Luisa Morgantini | Dichiarazioni di Luisa Morgantini, presidente della delegazione del Parlamento Europeo per le relazioni con il Consiglio Legislativo Palestinese | 09-07-2004 | Parole chiave: Accordi tra Stati, Palestina
Una vita per la Palestina | Giancarlo Lannutti | La vita di Yasser Arafat 1929-2004 | 05-11-2004 | Parole chiave: Palestina
Palestina/Israele: diritti per vivere, diritto per convivere | Action for Peace | 10-11 dicembre 2004: Giornate di azione in Europa e nel mondo per i diritti umani dei palestinesi e il rispetto del diritto internazionale da parte del Governo di Israele. Mobilitazione internazionale decisa durante il Social Forum di Londra | 10-12-2004 | Parole chiave: Accordi tra Stati, Palestina, carta dei diritti fondamentali, diritti umani
Proposta di lavoro per Action for Peace | Action for Peace | Un “luogo politico” capace di collegare, mettere in rete e coordinare elaborazioni e analisi anche diverse ma derivanti da una base condivisa solida, in grado di proporre ai partiti, ai movimenti e alla gente, sempre più confusa e rassegnata, una chiave di lettura della situazione palestinese | 21-03-2005 | Parole chiave: Accordi tra Stati, Palestina
La pace al primo posto | Comitato 18 marzo | Manifestazione nazionale da piazza Esedra a Piazza Navona nella giornata internazionale contro la guerra e le occupazioni | 18-03-2006 | Parole chiave: Afghanistan, Manifestazione, Palestina
Dodici ragazzi | Sergio Bassoli | Articolo dopo la morte di Angelo Frammartino, volontario in una missione di pace a Gerusalemme, presso "La torre del Fenicottero", per aiutare i bambini vittime del conflitto israelo-palestinese. | 12-08-2006 | Parole chiave: Aiuti umanitari, Palestina, Gerusalemme, Volontariato
Un piano per la pace e la giustizia in Medio Oriente | Action for Peace | Appello dell’Assemblea nazionale di Action for peace per l'organizzazione di una Manifestazione nazionale per la costruzione di un piano per la pace in Medio-Oriente | 10-09-2006 | Parole chiave: Libano, Palestina
Palestina-Israele:al centro un piano per la pace | Action for Peace | Appello dopo l'assemblea nazionale di Action for Peace | 10-09-2006 | Parole chiave: Palestina
Gaza. Fermate l'assedio fermate la guerra | Coalizione donne per la pace | Appello di unione alla campagna internazionale per mettere fine all’assedio di Gaza e per richiedere che Israele riprenda i negoziati con i legittimi rappresentanti del popolo palestinese. | 03-11-2006 | Parole chiave: Palestina
Balcani dopo tanti errori evitarne un altro | Arci | Sull’intervento della comunità internazionale a sette anni dalla fine del decennio di guerra guerreggiata dei Balcani | 17-02-2007 | Parole chiave: Balcani, Kosovo
I complici | Luisa Morgantini | Articolo pubblicato su Liberazione oggi, 22 gennaio 2008, in versione ridotta. | 22-01-2008 | Parole chiave: Palestina
Lettera da Ramallah | Mustafah Barghouti e Francesca Borri | Inizio Piombo Fuso | 27-12-2008 | Parole chiave: Palestina
Poesia per Gaza | Pietro Ingrao | | 09-01-2009 | Parole chiave: Palestina, Pietro Ingrao, Gaza
Hagar: non mi riconosco nemica | Stefania Cantatore | Comunicato stampa dell’UDI di Napoli in merito all’esposizione della gigantografia di Hagar Roublev, israeliana, femminista, pacifista, ​cofondatrice del Movimento Donne in Nero contro la guerra, che da oggi 14,30 – su richiesta delle donne di Napoli | 09-01-2014 | Parole chiave: Israele, Time for Peace

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