Giancarla Codrignani: se non mi spiegate non ci sto

Giancarla Codrignani, nata a Bologna il 18 luglio 1930, docente di greco e latino, è stata deputata dal 1976 al 1987, presidente della LOC (Lega obiettori di coscienza), attivissima nei movimenti delle donne e nel movimento per la pace, ma anche “ campo” nella scena internazionale, dal Cile al Nicaragua e nell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. Di Giancarla proponiamo un articolo recente, apparso sull’agenzia Adista (Giancarla Codrignani si è sempre definita una “laica cattolica”) nel 2023, di drammatica riflessione sulla “guerra mondiale a pezzi” di cui parla Papa Francesco

Siamo in guerra da un anno e rischiamo il terzo conflitto mondiale. La guerra è presente in Congo, in Afghanistan, in Siria, in Birmania, in Burkina Faso, in Iran, nella Palestina di un Medioriente sempre più allargato, in Pakistan, nei Balcani così vicini e già provati: ovunque rischia di degenerare. E’ arrivata in Europa, a dimostrazione che la democrazia è fragile e può essere contagiata dall’incapacità di controllare i conflitti con le armi civili del dialogo diplomatico preventivo. Impensabile diventare indifferenti alla minaccia nucleare per accettazione disinformata, non più innocente.

Sono ben consapevole di che cosa significa vivere nel 2023 e avere, a 92 anni, ricordi ben precisi di che cosa sia una guerra mondiale. Vivo in Occidente, ne sostengo i valori e perfino le alleanze e le ragioni dell’Ucraina. Ma se i morti civili sembrano essere meno di 10mila, quelli militari, segretati da entrambe le parti, secondo un generale americano presente all’incontro di Ramstein del 20 gennaio, sarebbero, per i soli russi 188mila. Altrettanto per gli ucraini? Faremo entrare oltre ai Leopard anche l’aviazione nella guerra? in funzione difensiva? Con il parere negativo del Pentagono? Con Stoltemberg che è andato in Estremo Oriente a vedere se il teatro del Sudest asiatico può essere compatibile con quello ucraino?

Rischiare la terza guerra mondiale classica insieme con quella già in atto e ben definita dal Papa? La guerra come soluzione civile e non il perseguimento della pace? Non ci si può abbandonare a calcoli non argomentati: i vecchi sofisti insegnavano che si può vendere come migliore la proposta peggiore. I discorsi politici e i resoconti giornalistici finora si convincono che proseguire la guerra non peggiora la situazione: l’ha detto anche Biden), ma gli scienziati calcolano i secondi sempre più ridotti all’orologio Armageddon.
Ripeto che non ci sto. Non mi sento così subalterna al conformismo indotto da rinunciare alla mia intelligenza e alla mia conoscenza informata.

Non sono nemmeno così pacifista da credere che l’Onu potrebbe dichiarare il disarmo universale, anche se farlo sarebbe nei termini del suo statuto. Purtroppo la guerra piace, soprattutto ai maschi. Se non piacesse, non si produrrebbero montagne di armi sempre più raffinate: oltre alle chimiche, biobatteriologiche, nucleari, di cui non si parla mai come non esistessero, sono tante le convenzionali: leggere, pesanti, marittime, aeree e terrestri, perfino nucleari miniaturizzate e droni; anche armi elettroniche e satellitari, scese dai fumetti ad abitare le centrali strategiche pur di fare il peggior male possibile al “nemico” (che dal punto di vista suo pensa lo stesso di voi e vi spara), disposti a versare il sangue anche per patrie altrui, mentre potreste produrre effetti peggiori delle stragi, accecando ministeri, banche, ferrovie, ospedali e procurando al nemico un caos disastroso senza ricorrere al sangue. Invece aggiungete l’elettronica al sangue. I/le cittadini/e non possono sentirsi disertori se rifiutano di inviare armi finché non sanno una data dell’escalation.
Sentire che la nonviolenza intelligente suggerisce altre strategie difensive non è disertare.
Altrimenti teniamoci la guerra e le sue crescenti conseguenze: l’impoverimento dell’Europa, i danni alimentari all’Africa, la crescita della spesa militare a danno del welfare, l’accelerazione di ricerca e produzione di sistemi d’arma più sofisticati, il rischio del contagio con situazioni ancor più complesse che tenderebbero ad aggredire la Russia su più fronti.

Davvero si aprirà un secondo anno di guerra senza sapere quanto durerà e quali decisioni vengono prese nel silenzio sostanziale di chi non va oltre l’invito – amici che accusate Putin, non ricordatemelo ancora, sono d’accordo con voi – a difendere l’Ucraina? Credo di non essere la sola a volere una risposta previa il 24 febbraio. Ragionata, perché il paese sappia.

Fino alla fine della prima guerra mondiale la guerra era un valore in sé: in tutti i paesi del mondo, esisteva, impunemente, il “Ministero della guerra”. Dopo la seconda mondiale, quando si disse mai più, tutti si adeguarono: Ministero della Difesa. La parola guerra non è più amabile, mentre la difesa, rappresenta il desiderio di pace universale, paradossalmente: vale finché nessuno offende, ma se c’è un’offesa, si mettono in allerta le Forze Armate. Tra gli individui si privilegia la prudenza: se non tutti ci amano, almeno teoricamente si suggerisce di evitare la violenza e l’individuo si difende con i tribunali.
Abele fu ucciso perché Caino era un cacciatore in conflitto con i raccoglitori stanziali; così i fratelli divennero nemici, un’invenzione dovuta alla paura, che non giustifica l’odio. Ma la perversione della logica amico/nemico è rimasta a livello incivile e il settore bellico non ha mai avuto cassa integrazione.

Il 24 febbraio 2022 la Russia è entrata in territorio ucraino: tenendo conto della sproporzione tra il paese offeso e il continente russo che dagli Urali arriva al Pacifico, forse era il caso di chiedere immediatamente conto all’invasore delle sue intenzioni e all’Europa di farsi mediatrice. L’attentato russo all’indipendenza ucraina è stato un’inaccettabile sfida alla libertà comune. Forse qualcuno riteneva la Russia un paese liberale? Si è forse sfidato Putin nel 2006 in difesa di Anna Politkovskaya e dei ceceni? È noto che Putin con lo stato di diritto non ha molto a che vedere: dal 1999, anno della sua prima elezione (23 anni fa) continua a governare e ha addirittura riformato la costituzione per restare al potere fino al 2036. Potrebbe doversi dimettere? Difficile, ma potrebbe: cambierebbe qualcosa con i boiardi? Contestualmente l’Europa, tranquilla, prelevava rifornimenti di gas e li pagava a Putin. In Russia c’è un’opposizione: vero, ma non è nata dalla guerra ucraina e, per ora, è ben lontana da pensarsi maggioranza.

La storia russa non è storia di poteri flessibili, neppure in campo religioso. Agli zar è succeduto Stalin. La mancanza di quell’educazione alla libertà che precede la voglia di democrazia era pensabile solo dall’élite che ospitava Voltaire nel ‘700, ma oggi è la dimostrazione più evidente del fallimento comunista. Tuttavia nessuno si augura la rottura del mosaico che, unito sotto lo zar e l’Urss, dopo Gorbaciov, costituisce la Federazione Russa, lo Stato più grande del mondo in cui vivono entità e lingue diverse: chi va in Tatarstan incontra russi con gli occhi a mandorla, ricordo di Gengis-Khan. Il turista trova il McDonald russo compatibile con l’Occidente e non vede che la Russia è diversa, è Oriente, come noi siamo Occidente. La storia è iniziata con la fine del primo imperialismo, quando Roma non riusciva più ad amministrare le innumerevoli province e divise l’Impero d’ Oriente da quello d’Occidente: Costantinopoli e Roma. Quando i russi diventarono cristiani,  scelsero l’ortodossia di Costantinopoli: Roma era diventata un’altra cosa, cattolica. Solo che, quando il principe Vladimir nel 988 decise la conversione, lo fece a Kiev, nell’Ucraina, evidentemente ritenuta russa anche nei secoli successivi. L’Ottocento, che è il secolo dei“risorgimenti” e dei tentativi dei popoli di rendersi autonomi, vide anche nostri patrioti partecipare alla guerra di Crimea, che oggi Zelinski considera territorio ucraino, come quando, nel 2014, sancì l’illegittimità del referendum sull’autonomia chiesto dalla Crimea.  Sono stratificazioni di eventi che finiscono per alimentare nazionalismi, etnicismi e patriottismi esasperati (poi, ovviamente, le guerre), causati da continua mancanza di democrazia nei governi pur eletti democraticamente. Auguriamoci che l’Azerbaigian non attenda l’esito della questione ucraina per farci un suo pensiero.

I problemi attuali si chiamano democrazia ’23. In questione è, in primo luogo, la conservazione della democrazia europea. È un problema di sicurezza: l’affideremo alla crescita degli armamenti in tutti i nostri paesi, bisogno piuttosto di accrescere i bilanci della sanità, della scuola, del lavoro, della cultura? La prospettiva dell’esercito europeo non va accantonata proprio per ragione di sicurezza. La Germania che non aveva ambizioni militari, ha messo 100 mld di investimenti in armi, la Francia idem e noi pure. Sicuri che è
sicurezza?

Bisogna applicare i diritti umani, fondamento assoluto dei principi di umanità e civiltà: il diritto internazionale, le giurisprudenze europee seguono in linea di principio la Dichiarazione universale die diritti umani. La guerra ne è la negazione di fatto. Infatti il problema della difesa è “di chi”. Se mi accorgo di un incendio: mi precipito con un secchio o telefono ai pompieri? L’opinione pubblica mondiale ha visto che la Germania ha
ceduto sulla consegna dei Leopard perché costretta: il ritardo non era dovuto a egoismo nazionalistico o perché le frontiere tedesche sono le frontiere dell’Europa e il sospetto delle risposte da parte dell’onorabilità vendicativa putiniana fa paura. 

La responsabilità è di erodere i minuti all’orologio di Armageddon. Se la ministra della Difesa tedesca Christine Lambrecht ha dato le dimissioni – formalmente per quello che se ne sa, immotivate – ed è stata sostituita non da Eva Högl per equilibrio di genere, ma da Boris Pistorius, qualche problema risulta evidente. Lo stesso incontro Nato di Ramstein è sembrato abbastanza confuso, l’Italia si è impegnata a mandare il sistema di difesa aerea avanzato Samp/T portando a oltre il miliardo l’aiuto militare all’Ucraina, i governi dell’Ue non esprimono, però, loro scelte strategiche precise, i nostri generali nelle interviste non appaiono mai decisionisti e il Pentagono dà parere negativo alle scelte del presidente. I militari non lo diranno mai – avrebbero fatto un altro mestiere – ma per competenza hanno paura delle decisioni dei politici.
La Nato, infatti non può sostituire la multilateralità. E la fedeltà agli Usa non coincide con gli attuali interessi elettorali degli Stati Uniti che – il dollaro non è al massimo del suo fulgore – finora hanno delegato la guerra e i suoi costi all’Europa, ma non prevedono gli umori del Congresso. Vogliono uno scontro tra le “grandi potenze”? Ormai tra le “grandi potenze” è entrata la Cina: Biden sceglierà di provocare Taiwan o fingerà di credere alla dichiarazione di “perseguimento della pace” scritta nelle conclusioni del Congresso del PCC (ottobre 2022) per usarne preventivamente alla prima minaccia per disinnescare le mine? La diplomazia c’è per questo, se ne ammette la riservatezza, non l’assenza di qualunque segnale positivo: dopo non si giustifica il rinvio al momento in cui le armi sparano da sole.

Se, poi, ci sono incertezze sul piano della difesa, il punto di vista economico è chiarissimo: fortunatamente il momento presenta una ripresa del mercato, ma nessuno garantisce una recessione. I prezzi crescono, i profughi sono respinti, aumentano le disuguaglianze, i governi parlano di altri “sacrifici”, i problemi energetici causano le peggiori prospettive perché incidono sia sui problemi ambientali urgenti per i quali non ci sono finanziamenti (mentre Biden stanzia 370 mld per le imprese in sostenibilità), sia perché la guerra è fonte
massima di inquinamento. Inoltre a primavera come sarà possibile il lavoro agricolo nel “granaio europeo”? Dopo la rinuncia alle forniture russe, il governo Draghi aveva aperto le vie al mercato energetico alternativo e le missioni della presidente Meloni e del ministro Taviani in Africa proseguono nell’intento di reperire nuove fonti energetiche dai paesi petroliferi. Vogliamo riprendere il problema morale pur sapendo che in politica non ha nessun valore? Come stanno i diritti umani, lo stato di diritto, le libertà democratiche in Libia, Egitto, Algeria, eventualmente Qatar?

L’Ucraina è, comunque, un paese pieno di gente russa, che parla russo. Ormai è arrivato l’odio etnico come fu quello dei serbi in Kosovo. A fine guerra l’Ucraina rischia la guerra civile tra prevalenze di linguaggio. D’altra parte non sarà facile provvedere alla ricostruzione: toccherà a noi aiutare, ancor più giustamente, con la solidarietà economica. Come per le armi, bisognerà prevedere: le armi consentono intrecci perversi con droga e criminalità organizzata, ma le ricostruzioni sono il primo business dei dopoguerra: il paese non ha fama di incorruttibilità e anche Zelinsky ha smontato mezzo governo per scandali sulle spese militari, ma la mafia italiana deve essere già lì. Pensiamoci fin d’ora. A meno che non si scelga un altro anno di guerra.

La democrazia, essendo il regime più fragile di tutti, non può essere violenta. Non è clericalismo cattolico: infatti dal punto di visto cristiano si potrebbe criticare perfino la guerra difensiva. E’ una conquista successiva alla fine seconda guerra mondiale: la filosofia della nonviolenza. Anche Paolo VI nel 1973 quando fu firmato l’armistizio che pose fine alla guerra del Vietnam ebbe e recriminare le guerre, vinte e perse: “il conflitto sarebbe potuto finire otto anni prima. Siate sicuri che noi condividiamo le pene, così pure le speranze  e le aspirazioni dei vietnamiti”. Stenta ad estendersi e non affascina i politici perché il costume onora oltre il dovuto la competizione, le sfide, le prove di forza, caratteri che comportano non progresso e benessere, ma spreco di risorse umane e conflittualità e nemmeno lo sport si salva dalla guerra delle “curve”. L’Ucraina ha una legge che riconosce l’obiezione di coscienza, sospesa perché vige lo stato d’assedio e la mobilitazione è generale. Ma il Movimento Nonviolento ne riceve i documenti di opposizione alla violenza della guerra e disconoscimento dell’esasperazione nazionalista. Insegna una passione che, per chi vuole essere o diventare europeo, possiede la nobiltà patriottica della libertà di ogni casa nel rispetto delle case altrui.
Ma i cittadini europei vogliono rileggere le loro costituzioni democratiche e considerare il patrimonio culturale, sociale, economico delle istituzioni europee che fin qui hanno funzionato per unire laicamente un continente memore di storie divise e di conflitti e atrocità dovuti alle divisioni di antichi stati e imperi ritenutisi sovrani, e, rispettando le alleanze di cui sono parte attiva, non dare l’Ue in appalto alla Nato? Avete per caso letto il lungo discorso che il 7 luglio 2022 Jacinta Andern prima ministra della Nuova Zelando aveva tenuto a Sidney? “In un mondo sempre più polarizzato e conflittuale, dove le relazioni diplomatiche si fanno più dure, come perseguire una politica estera davvero indipendente? Questa guerra (l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia) cambia la nozione di conflitto, è multidimensionale, produce crisi economica, logora la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni. I principali elementi della politica neozelandese si fondano sul senso di collettività, di cooperazione globale da rafforzare, principio di politica estera indipendente (sono i valori) dei diritti umani, dell’uguaglianza di genere, della sovranità statale e dell’azione sul clima, responsabilità che ricade su di noi. Poi, resa la mappa della Nuova Zelanda ahimè insolita la vede al centro dell’area del Pacifico: non esclude che altri possano avere interessi in quell’area, ma dobbiamo essere noi a definire le nostre priorità. E prendeva ad esempio la guerra in Europa: l’invasione di Putin senza dubbio illegale e ingiustificabile.

La Russia deve essere chiamata a risponderne presso la Corte penale internazionale. Non può essere la premessa di un inevitabile sviluppo in altre aree di confronto geostrategico. Jacinta andava presa in considerazione: peccato che si è dimessa. Colpa di noi donne a cui, in genere, la guerra non piace.
Tirando la somma: davvero apriremo il secondo anno di guerra senza porre date a una strategia motivata ad una fine ragionevole?

Approfondimenti dall'archivio

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Documenti
Greenham Common storia di donne per parole e immagini | Chiara Ingrao | La storia delle donne di Greenham con foto di Tano D'Amico | 27-08-1981 | Parole chiave: Antimilitarismo, Femminismo, disarmo nucleare, donne, greenham common
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Discorso sulla guerra e sulle donne | Alessandra Bocchetti | Perché soprattutto le donne dovrebbero chiedere la pace? Un lungo articolo di una storica direttrice del Centro Virginia Woolf | 20-03-1984 | Parole chiave: femminismo
Femminismo e… conflittualità, conflitto, violenza, nonviolenza | Paola Baglioni, Maria Luisa Boccia, Mary Joan Crowley, Chiara Ingrao | Il testo rappresenta le conclusioni del gruppo di lavoro su questi temi all’interno del seminario di donne del movimento pacifista tenutosi a Santa Severa il 25-27 maggio 1984 | 30-05-1984 | Parole chiave: femminismo, nonviolenza, Santa Severa
Streghe per la pace | Streghe per la pace | Testo originale dattiloscritto dello scherzo ai compagni maschi da parte del "Coordinamento Streghe per la pace" dal raduno di Santa Severa. | 31-05-1984 | Parole chiave: donne, femminismo
Le donne alla Convenzione END di Perugia | Anna Martellotti | Articolo inedito di Anna Martellotti sulla Convenzione End (European Nuclear Disarmament). | 18-07-1984 | Parole chiave: convenzione End, disarmo, disarmo nucleare, perugia, nucleare, femminismo
Dalle donne lo sguardo più fecondo sul pacifismo del dopo-missili | Chiara Ingrao | Documento inedito sulla Convenzione End di Perugia | 25-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, femminismo, perugia, End, Europear nuclear disarmament, donne
Roma, Berlino, Praga: un incontro di donne oltre il muro | Silvia Zamboni | Viaggio per costruire un documento congiunto, il primo in assoluto, di donne pacifiste non allineate dei cinque Paesi europei | 11-10-1984 | Parole chiave: femminismo, Gruppo 10 marzo
Fuori la guerra dalla storia | aavv | Lettera aperta firmata da: noidonne, La nuova ecologia, Arci Donne, Fdei, circolo Udi Nemorense, Casa-Balena, coordinamento Donne Ong per lo sviluppo, Il Paese delle Donne, Giancarla Codrignani, Joyce Lussu, coordinamento Donne Lega per il diritto dei popoli | 19-04-1986 | Parole chiave: disarmo nucleare, donne, femminismo
Da Andromaca a Cassandra: un percorso di libere riflessioni fra mito e realtà, fra i temi della pace e della guerra. | chiara ingrao | Brano tratto da "Né indifesa né in divisa" a cura di Lidia Menapace e Chiara Ingrao Il libro contiene gli atti di un convegno organizzato nel marzo 1987 dal coordinamento donne “Fuori la guerra dalla storia” e dal coordinamento donne elette nelle liste del PCI alla Regione Lazio. | 08-03-1987 | Parole chiave: Reagan, donne, femminismo, pacifismo, lidia menapace, greenham common
Né indifesa né in divisa | Chiara Ingrao e Lidia Menapace | Il libro contiene gli atti di un convegno organizzato nel marzo 1987 dal coordinamento donne “Fuori la guerra dalla storia” e dal coordinamento donne elette nelle liste del PCI alla Regione Lazio | 20-03-1987 | Parole chiave: Antimilitarismo, Femminismo
E' vero che siamo poco teoriche e molto pratiche | Francesca Bacchetti, Meris Bonettini, Giovanna Calciati, Cristina Giovanardi, Salwa Salem | Tratto dall'opuscolo La nonviolenza delle donne (incontro nazionale donne Associazione per la pace, Quattro Castella, 1990) | 10-04-1990 | Parole chiave: Antimilitarismo, Difesa nonviolenta, Femminismo, nonviolenza
Contro la guerra nella ex Jugoslavia | Donne in nero di Roma | " Oggi gridiamo all’orrore dei visi senza speranza di migliaia di profughi". Appello delle Donne in nero per la fine della guerra in ex Jugoslavia | 28-05-1992 | Parole chiave: Balcani, Difesa nonviolenta, femminismo
Lettera di Stasa | Stasa | Lettera di Stasa sul Movimento donne per la pace e sulle Donne in nero | 02-09-1993 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo, donne, femminismo
Stop the war | Ya Basta | Diario di attivismo contro la guerra. Da aprile a giugno 1999 | 02-04-1999 | Parole chiave: Kosovo, Pacifismo
Per un nuovo pacifismo | Gianfranco Bettin | Articolo su il Manifesto | 07-04-1999 | Parole chiave: Kosovo
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Movimenti e distanze: da Porto Alegre a Genova e, si spera, ritorno | Luca Rastello | Articolo sulle forze e le contraddizioni del movimento No Global. Alla luce delle esperienze fatte nei Balcani, alla luce delle tragedie di Genova. | 29-10-2001 | Parole chiave: Banca mondiale, fondo monetario europeo, social forum, wto, Davos, Kosovo, Operazione Arcobaleno
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