Pietro Ingrao e il suo “Mi ricordo la pace”

Fra le tante immagini dell’enorme manifestazione di piazza San Giovanni a Roma il 15 febbraio del 2003, in quella mobilitazione globale che portò il New York Times a definire il pacifismo “seconda potenza mondiale”, ce n’è una indimenticabile: due grandi vecchi della politica italiana, l’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e l’ex Presidente della Camera dei deputati Pietro Ingrao, in silenzio sul palco, insieme, a tenere stretta la bandiera della pace.

Per il pacifismo, Pietro Ingrao era stato un compagno di strada e un riferimento da sempre: non a caso in questo sito le sue parole ricorrono più volte, che si tratti della poesia straziante dedicata a Gaza durante l’operazione Piombo fuso del 2009, o dell’intervento del 1990 in
Parlamento contro l’invio delle navi italiane nel Golfo, in dissenso dal suo partito perché “in certi momenti no, proprio no, non si può tacere”; o ancora, del suo ultimo intervento pubblico in Italia, in una sala affollatissima di ragazzi e ragazze nel Social Forum di Firenze del 2002, che
Ingrao concluse con queste parole, pronunciate con la voce rotta dalla commozione: “E’ un obiettivo ambiziosissimo che dovete darvi: costruire un potere di pace. Nessuno c’è finora riuscito: il potere è sempre armato, è sempre stato in guerra. Noi abbiamo perso, nel volerlo costruire. Imparate da noi, dalle nostre sconfitte. Voi potete farcela. Auguri per il vostro lungo viaggio.”

Pochi mesi dopo quell’incontro così emozionante, quando l’Università di Barcellona decise di conferirgli la laurea ad honorem, Pietro dedicò tutto il suo intervento proprio a ripercorrere le tappe della sua scelta pacifista e riflettere sulle drammatiche sfide di quei giorni di pre-guerra.

 

L’alto onore di questo titolo va di pari passo con l’attenzione, generosa, data alla ricerca culturale e alle riflessioni sulla democrazia, che ho tentato di sviluppare nel corso del secolo tempestoso in cui è trascorsa la mia vita.  L’emozione è ancora più grande non solo per il posto straordinario che la Spagna e la Catalogna hanno nella storia del mondo, ma per una vicenda particolare, che mi riguarda direttamente. 

Era il luglio del 1936. Avevo compiuto 21 anni. Ero studente alla Facoltà di Giurisprudenza, nell’Università di Roma, nel pieno della giovinezza. L’aggressione del governo fascista italiano alla giovane Repubblica spagnola fu il trauma, l’evento sconvolgente che mi sospinse (direi: mi obbligò) alla cospirazione antifascista: a quell’impegno nella battaglia politica che poi ha segnato la mia esistenza. Cominciò per me, in quegli anni, un sodalizio con l’antifascismo spagnolo esule, che si prolungò nel tempo, e si accompagnò all’incontro con la trascinante poesia spagnola del Novecento: da Machado, a Lorca, a Rafael Alberti. 

In questo lungo cammino della mia vita ho sperato ardentemente che gli orrori, i massacri, le cataste di vittime che hanno segnato l’epoca che ho vissuto divenissero solo un ricordo amaro: quasi come una vetta di follia a cui ci avevano condotto il capitalismo nella sua febbre dell’epoca fordista e – per la loro parte – gli errori fatali dello stalinismo. E in seguito mi illusi che – di fronte e dopo il crollo dell’Urss – si aprisse finalmente uno spazio nuovo per fermare la corsa alle armi. 

Non fu così. Quando ormai il muro di Berlino era caduto in frantumi, abbiamo visto incredibilmente ritornare la guerra in una zona cruciale del mondo: quella penisola arabica, che è punto di giuntura fra Europa, Asia ed Africa. Oggi la questione della guerra vede un altro scatto. 

Prima c’è stato un torbido, ambiguo passaggio teso a rilegittimare l’intervento delle armi in nome di un bisogno di giustizia. 

Ricordate: fu la grave azione militare della Nato in Serbia, giustificata in nome della democrazia e della liberazione dei popoli schiacciati dal despota Milosevic. Vennero i giorni dei sermoni sulla “guerra giusta”. E qualcuno – in Europa – si spinse addirittura ad evocare un termine supremo ed antico. E parlò di “guerra santa”. 

In verità in quella vicenda dei Balcani fu lanciata ed alimentata – almeno da parte di alcuni attori – anche la speranza e l’immagine di una purificazione della guerra: come se essa sganciandosi dal fango del territorio e muovendo nella purezza delle grandi altitudini dell’atmosfera potesse e volesse colpire soltanto (con la sapienza delle tecniche moderne) i mezzi militari dell’avversario. Fu quella che io ho chiamato l’illusione (o l’inganno) della “guerra celeste”. Ne sgorgò – ricordate? – quella rappresentazione consolante del pilota americano che muoveva dalla sponda atlantica e – adempiuto nella calma solitudine dei cieli lo sgancio della bomba intelligente – tornava puro da macchie al focolare domestico, nella patria americana. 

Quale errore! È venuta invece la guerra in Afghanistan e l’attacco dal cielo si è mischiato rovinosamente alla cancellazione delle città, alle stragi dei civili, alla macchiana delle armi che si spingeva nel ventre degli altipiani come nei ghirigori della terra. E sono via via cadute amaramente le giustificazioni etiche, le rappresentazioni salvifiche, i sermoni moraleggianti. 

In verità sino ad ora non sono stati cancellati i vincoli formali che in molte Costituzioni europee e nella Carta delle Nazioni Unite vennero posti al ricorso alle armi. Quei vincoli stanno ancora lì: scritti in quelle leggi solenni. Semplicemente accade che essi vengono scavalcati o – di fatto – cassati. Nel mio Paese l’articolo 11 della Costituzione, che consente solo la guerra di difesa, è di fatto stracciato: senza che su ciò ci sia né sorpresa né scandalo: e nemmeno una discussione in Parlamento, o un qualche chiarimento da parte del Presidente della Repubblica, il quale su una tale violazione serba un religioso silenzio. 

E c’è qualcosa che mi spaventa di più. C’è il fatto amaro che nei nostri Paesi il senso comune non si allarma: non trema più. Dobbiamo dirla questa verità amara. Sfogliate i libri, porgete l’orecchio alle parole dei governanti. Scorrete le pagine dei dibattiti parlamentari. Troverete che è sparita la parola “disarmo”. Non l’usa più nessuno. È in questo senso largo e agghiacciante che io parlo di una “normalizzazione” della guerra. S’è liquefatto lo spavento, l’orrore che scosse la mia generazione e – in quel maggio del 1945 – ci fece giurare che mai più sarebbe tornato il massacro. 

Come mentivamo! Guardate all’oggi: guardate come si discute ora, in questi giorni, apertamente di un attacco all’Irak, e si invoca la guerra preventiva. E chi ne parla non è un politico scervellato o un gazziettiere fanfarone. La propone oggi al mondo – come compito ineludibile ed urgente – il Presidente degli Stati Uniti, capo della potenza più grande della terra. 

E ciò avviene senza troppo scandalo. Non si riuniscono in ansia i Parlamenti. Non suonano di spavento le campane delle chiese. Né i sindacati preannunciano scioperi. Appunto: è diventata normale, invocata dal Paese che si considera guida del mondo, la guerra di prevenzione. 

Su che si è fondata questa rivalutazione e normalizzazione della guerra e perché il pacifismo oggi è una scelta di ristrette minoranze? 

Io voglio solo alludere a una spiegazione che – per comodità e brevità – chiamerò “tecnica”. In verità non è nelle mie competenze il vaglio delle grandi innovazioni tecnologiche e dei nuovi saperi che hanno dilatato e rivoluzionato i sistemi d’arma, la trama dei conflitti, la combinazione delle strategie fra terra, mare e cielo. Ho però in mente i mutamenti forti avvenuti nel rapporto politico-sociale tra la vita dell’uomo semplice e delle masse di civili e ciò che è diventata la guerra, a questo passaggio di secolo. 

Mi sembra indubbio che negli ultimi decenni si sia venuta sviluppando (o ritornando?) la connotazione “specialistica” della pratica di guerra. Sembra scomparsa o impallidita quella connotazione totalizzante che essa assunse clamorosamente dall’inizio del Novecento: quel cammino che a partire dal conflitto mondiale del 1914 vide schierati sui fronti di vari continenti milioni di uomini: per anni ed anni, e in una condizione umana radicalmente diversa dal vivere civile: quella guerra di massa nel fango delle trincee che presto venne via via dilatandosi fino a coinvolgere l’insieme delle nazioni, le città lontanissime dal fronte, la vita degli inermi, le donne e i fanciulli. Insomma, la guerra di massa. La guerra mondiale, come la chiamammo. 

Oggi i compiti prevalenti, il nucleo centrale dell’azione bellica sembrano di nuovo affidati a soldati di mestiere: a cittadini e a cittadine che accettano o addirittura chiedono di essere chiamati a praticare la scienza della guerra: con le sue tecnologie raffinate e con i suoi rischi di morte. 

L’uccidere collettivo in nome del potere pubblico torna ad essere compito nobile ed ambito: sotto l’aspetto delle retribuzioni, del rango sociale, del riconoscimento pubblico. E l’esistenza di questi corpi specializzati nell’uccidere, in nome della comunità pubblica, appare come una nuova divisione di compiti, che permette ai civili, garantiti da quella protezione e sapienza specialistica, di dedicarsi – diciamo così – serenamente ai compiti di pace. Dunque il soldato Ryan – ricordate il film famoso? – può starsene tranquillamente nella sua città, perché un adeguato “esercito di mestiere” si accolla sulle spalle il cruento e “nuovamente” nobile mestiere della guerra. 

Si potrebbe perciò pensare che questa rivalutazione delle armi e il suo rilancio come nerbo e risorsa centrale della politica poggino sull’operazione di sgravio delle masse dei civili, e sull’allontanarsi – dal loro orizzonte – del pericolo di un ritorno delle prove terribili vissute in due tragiche guerre mondiali (e altre ancora). 

E si può anche pensare che Bin Laden e il massacro feroce delle Due Torri – consapevolmente e con una sconvolgente audacia – abbiano voluto e tentato di rigettare nella fornace della guerra di massa “i civili” del nemico americano: per seminare nuovamente nel loro animo lo spavento della guerra, la paura di massa dei massacri di massa. 

Fu ciò quella sfida feroce? Non lo so. So che gli eventi terribili a cui ho fatto cenno e l’incalzare dei fatti intorno a noi riaprono domande aspre sul senso e sulle forme che assume la politica nello schiudersi del Terzo Millennio e nell’età della globalizzazione: un età in cui il capitalismo – disaggregati su scala del mondo i momenti del produrre e del consumare – è riuscito a scardinare e a frantumare le nuove soggettività sociali, che nel corso del tragico Novecento avevano messo in discussione i suoi poteri ed i suoi parametri. 

E però – con sorpresa di molti – da questa vittoria non sono sgorgate la primavera del Terzo Millennio e la calma di una stagione sicura delle sue intime regole. 

Torna ancora sul trono con tracotanza (ma anche con un dubbio interiore) la scienza dell’uccidere, e torna proprio in quel Vertice del mondo occidentale dove – dopo la tragica sconfitta dei “rossi” – sembrava dovesse fiorire una calma saggezza inconfutabile. Allora, in quel 1936, il fragore delle armi sulla vostra terra e le macerie di “Guernica” cambiarono la mia esistenza, mi trascinarono nel conflitto. Non pensavo, non avrei mai pensato che avendo avuto la fortuna di vivere quasi per un secolo alla fine sarebbe tornata quella domanda elementare sul diritto e sulle forme dell’uccidere collettivo i propri simili, e che quest’arte venisse oggi presentata addirittura come strumento di “educazione” del mondo: di saggia “prevenzione”.

Approfondimenti dall'archivio

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Documenti
Carovana europea di pace in Jugoslavia | Alex Langer | Rapporto al Parlamento Europeo sulla Carovana della Pace promossa dalla “Helsinki Citizens’ Assembly” (con segretariato a Praga) ed organizzata dall’ “Associazione per la pace” e dall’ARCI | 01-10-1991 | Parole chiave: Balcani
Donne in nero di Belgrado | Donne in nero | un atto di ribellione nonviolento contro la guerra | 09-10-1991 | Parole chiave: Balcani, Donne in nero
Donne in nero di Belgrado e Pacevo | Donne in nero | Testo dell'appello delle Donne in nero di Belgrado per fermare la mobilitazione illegale e anticostituzionale della leva dei riservisti in Serbia | 30-10-1991 | Parole chiave: Balcani, Donne in nero, Serbia
Assopace e Comitato cittadini bosniaci a Roma. Documento di trasporto | Neva Bernardi | Documento dell'Associazione per la pace che attesta la raccolta di 14.350 kg di aiuti umanitari grazie al Comitato Cittadini Bosniaci a Roma. | 22-01-1992 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario, Aiuti umanitari
Italia nonviolenta IV congresso di Assopace | Giulio Marcon | Relazione di Giulio Marcon, la nonviolenza come trasformazione radicale e rivoluzionaria | 26-02-1992 | Parole chiave: Assopace, Balcani, Banca mondiale, Palestina
Tuzla Amica | Tuzla Amica | La storia di Tuzla Amica, un'organizzazione non governativa e senza scopo di lucro, che ha iniziato la sua attività nel 1992, è stata ufficialmente registrata nel 1996 nell'area del Cantone di Tuzla e dal 2004 è registrata presso il Ministero della Giustizia della Bosnia ed Erzegovina | 04-04-1992 | Parole chiave: Balcani, Donne
Contro la guerra nella ex Jugoslavia | Donne in nero di Roma | " Oggi gridiamo all’orrore dei visi senza speranza di migliaia di profughi". Appello delle Donne in nero per la fine della guerra in ex Jugoslavia | 28-05-1992 | Parole chiave: Balcani, Difesa nonviolenta, femminismo
Ex-Jugoslavia: cittadini di pace presentazione del Verona Forum | Alex Langer | Programma della Conferenza di pace dei cittadini dell’ex-Jugoslavia organizzata dal Comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nell’ex-Jugoslavia | 17-09-1992 | Parole chiave: Balcani
Forum per la pace e la riconciliazione nella ex Jugoslavia | Alex Langer | Conclusioni della Prima Arena di Verona, 17/20 settembre 1992 | 22-09-1992 | Parole chiave: Balcani, Alex Langer
Dentro il conflitto | Agostino Zanotti | Venti anni fa, con l'inizio della fine della Jugoslavia, nasce in Italia uno straordinario movimento di solidarietà fatto di convogli umanitari, ospitalità ai profughi e relazioni che continuano ancora oggi. La testimonianza di uno dei protagonisti di quella stagione, segnata dalla strage dei volontari italiani a Gornj Vakuf il 29 maggio 1993 | 30-05-1993 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario
Sarajevo cuore d'Europa | aavv | Volantino di promozione dell'iniziativa di raccolta di aiuti umanitari per Sarajevo | 28-06-1993 | Parole chiave: Aiuti umanitari, Balcani, Sarajevo
Adottate la Pace | Roberta Giordano | "Adotta la pace" iniziativa promossa dall'Arci | 28-07-1993 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario
Cronologia di Mir Sada | aavv | Giorno per giorno, l'esperienza di Mir Sada | 15-08-1993 | Parole chiave: Balcani, Mir Sada, Sarajevo
Lettera di Stasa | Stasa | Lettera di Stasa sul Movimento donne per la pace e sulle Donne in nero | 02-09-1993 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo, donne, femminismo
Disarmiamo l inverno | Ics | Raccolta straordinaria di aiuti per la Bosnia-Erzegovina promossa dal Consorzio Italiano di Solidarietà | 20-12-1993 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo
Da Ancona a Falconara marcia nazionale della solidarietà | Arci, Anpas, Acli, Associazione per la pace | Appello e comunicato stampa di lancio della Marcia Ancona-Falconara | 28-03-1994 | Parole chiave: Balcani, Manifestazione
Qualcuno dopo questo massacro | Gianni D Elia | Recensione al libro "Qualcuno dovrà dopo tutto. Racconti e poesie dalla guerra". Edito da Lunaria in collaborazione con Associazione per la pace. International Peace Center di Sarajevo e Pen Club. Con poesie di, tra gli altri, Gianni D'Elia eTommaso di Francesco | 20-02-1995 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo
Bosnia per fermare la guerra per rilanciare la solidarieta | Associazione per la pace, Arci | Lettera ai parlamentari. Le proposte del volontariato | 31-05-1995 | Parole chiave: Balcani, Intervento umanitario
Bosnia per fermare la guerra per rilanciare la solidarieta | Arci, Associazione per la pace | Lettera aperta ai parlamentari | 31-05-1995 | Parole chiave: Aiuti umanitari, Balcani, Intervento umanitario
E ora mettiamolo al bando | Giulio Marcon | Articolo su il manifesto. Sotto il ponte che collega Belgrado a Pancevo vivono in duemila e duecento. Sono rom profughi dal Kosovo, scacciati dalle bombe Nato e dall'Uck. Per loro morire di uranio impoverito può essere addirittura un lusso | 21-01-2001 | Parole chiave: Uranio, Balcani
Balcani dopo tanti errori evitarne un altro | Arci | Sull’intervento della comunità internazionale a sette anni dalla fine del decennio di guerra guerreggiata dei Balcani | 17-02-2007 | Parole chiave: Balcani, Kosovo

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