Il titolo di questa sezione è volutamente provocatorio ma purtroppo molto vero. Siamo arrivati al capovolgimento dell’art.11 della Costituzione: l’Italia ripudia la pace. Per Italia non intendiamo ovviamente la società civile e l’opinione pubblica del nostro Paese che tutti i sondaggi hanno sempre visto schierarsi contro le spedizioni armate e il riarmo. Possiamo dire che un metro di ghiaccio non si forma in una notte sola e i lettori di “Pace in movimento” sanno benissimo come i decenni passati abbiano funzionato da incubatrice di questa drammatica situazione. Con un salto di qualità. Le guerre a cui dal 1991 l’Italia ha partecipato erano edulcorate da definizioni come “operazione di polizia internazionale” (prima guerra all’Iraq), guerra “umanitaria” (Somalia, ex Jugoslavia), guerra “per la democrazia” (praticamente tutte), guerra “per impedire il genocidio” (Kosovo), guerra “per impedire l’uso delle armi di sterminio di massa” (seconda guerra all’Iraq), guerra “per liberare le donne dalla loro oppressione” (Afghanistan). Per non parlare del corollario di “bombe chirurgiche”, “attacchi mirati”, “bombe intelligenti” eccetera.  La fase contemporanea scatenata dagli orrori dell’invasione della Federazione Russa dell’Ucraina e della distruzione della Striscia di Gaza e di grande parte del Libano è scevra da palliativi e addolcimenti: si parla apertamente dell’indissolubilità dell’uomo con la guerra, di guerra  come fattore fondamentale della politica estera, di necessità di riarmarsi fino ai denti per fronteggiare il nemico alle porte.
La linea del fronte passa sempre di più dalle redazioni dei giornali, nei talk show televisivi, nell’assoluta caricatura fatta alle posizioni di chi si oppone alla logica muscolare della guerra.
La cancellazione dei pacifisti dalle principali trasmissioni di (presunto) approfondimento non ha però risparmiato al movimento per la pace le solite frasi sulle “anime belle” sui “pacifinti”, sugli amici di Putin, di Hamas ed Hezbollah. I pacifisti come parte di quell’asse del male pronto a colpevolizzare l’occidente sempre e comunque e che vorrebbero la “resa degli ucraini” o che contestano il diritto d’Israele a difendersi.  Mentre il diffondersi di un testosterone bellico senza precedenti ammorba il dibattito pubblico fino a zittirne le voci critiche, il bisogno di un pensiero pacifista radicale, capace perfino di andare oltre la tragicità degli eventi immediati, si diffonde in molte aree anche non direttamente impegnate nelle iniziative di movimento, e in particolare nel movimento delle donne. Si ragiona sul nesso fra sessismo e guerra, fra militarismo e patriarcato; si rilancia lo slogan degli anni ’80: “Fuori la guerra dalla storia”.

 

Il mondo della politica, invece, rifugge sempre più da ogni approfondimento e pensiero critico, abdicando completamente al proprio ruolo. Le dinamiche di palazzo separate dal sentire dell’opinione pubblica e la scelta di un estremismo atlantico sempre più ideologico e incapace di fare i conti con gli orrori/errori prodotti in questi anni dallo sdoganamento della guerra come uno strumento “naturale” della politica internazionale, hanno una ricaduta forte anche sulla qualità della nostra democrazia.

Quando esplode la crisi russo/ucraina il governo Draghi emana il primo invio delle armi all’Ucraina col decreto legge n. 16 del 28 febbraio 2022 e chiede via libera del Parlamento: il Senato il 2 marzo 2022 approva all’unanimità (quasi) l’invio delle armi in Ucraina (244 sì, 13 no e 3 astenuti). Il mondo politico si presenta compatto a favore degli aiuti militari. Anche alla Camera è quasi unanimità il 14 marzo. 

La politica governativa e parlamentare rimane ancora bloccata sulla decisione del governo di inviare armi (nessun ripensamento a parte quello, sotto elezioni, del Movimento 5Stelle). L’invio, avviene tra l’altro con una procedura inedita e segreta. Al COPASIR, Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che normalmente esercita il controllo sui servizi segreti, vengono appaltati i poteri delle due Camere.

Comincia l’escalation delle armi, la consegna dei carri armati tedeschi, i Leopard, poi gli Abrams, poi armi all’uranio impoverito, poi le bombe a grappolo, poi gli Atacms (missili a lungo raggio). Si parla di uso dell’atomica, come mai prima (seppur tattica, per addolcire). 

Festeggiano le aziende del complesso bellico/industriale. Le azioni vanno alle stelle con profitti di guerra enormi. Secondo uno studio di Greenpeace  https://www.greenpeace.org/italy/storia/25032/la-guerra-gonfia-gli-extra-profitti-delle-aziende-militari-in-italia-chiediamo-una-tassazione-al-100/ , che ha analizzato i bilanci delle aziende italiane del complesso bellico/industriale del 2023 confrontandoli con quelli del 2021, gli utili netti delle prime dieci aziende italiane esportatrici di armi sono cresciuti del 45%, pari a un incremento di 326 milioni di euro. Ancora più sorprendente è il balzo del flusso di cassa disponibile, aumentato del 175%, equivalente a 428 milioni di euro. Oltre agli utili, anche i ricavi complessivi delle aziende del settore sono cresciuti in maniera evidente: nel 2023 si è registrato un aumento di 2,1 miliardi di euro, un incremento del 13% rispetto al 2021.

I profitti di queste aziende, a partire dal gruppo Leonardo, hanno beneficiato sia della crescita dell’export di armamenti dall’Italia, sia della forte crescita della spesa nazionale italiana per le armi. 

L’articolo 11 della Costituzione italiana è nuovamente aggirato. Contemporanea alla tendenza internazionale ad indebolire l’Onu e cancellare il divieto della guerra contenuto nella sua Carta con gli Stati a riprendersi quel diritto di fare la guerra come intangibile diritto naturale vigente nel diritto internazionale pre-Onu. 

Eppure l’Italia poteva avere un ruolo significativo, dare un contributo importante per soluzioni politiche e negoziali. Il modello Alto Adige riconosciuto come modello di risoluzione di questioni complesse tra etnie diverse, poteva essere avanzata come una soluzione positiva del conflitto in corso in Donbass. Ma gli accordi di Minsk, di cui l’Unione Europea era garante, dovevano essere del tutto rapidamente dimenticati, per dare le responsabilità esclusiva della guerra solo alla Russia di Putin ed evitare una soluzione negoziata e diplomatica del conflitto. 

Più la guerra si incancrenisce, dimostrando che nessuno la può realmente vincere e che l’unica soluzione ragionevole sarebbe una via negoziata e diplomatica, più si insiste nell’inviare armi sempre più a “lungo raggio” ed in Europa – lo fa Macron – si fa trasparire l’idea di mettere anche degli scarponi europei sul terreno per sostenere l’Ucraina.

Sono giorni difficili per chi legittimamente aveva dubbi, perplessità, obiezioni e dissenso verso questa linea. i pacifisti o l’intellettuale che prova a ragionare sono messi all’indice. Non contano i loro argomenti. Sbagliano sempre, per definizione; solo per il fatto di esistere e di dissentire dalla narrazione dominante. Attacchi, censure, bavagli. Curioso quest’attacco ai pacifisti amici e complici di Putin. L’amnesia del potere non ricorda come proprio in Italia, nel luglio del 2001 a Genova, decine di migliaia di persone erano scese in piazza per contestare Putin e gli altri “7 grandi” raccolti nella fortezza di quel governo abusivo del mondo che era il G8 e che pianificava, in pieno accordo tra di loro, il mondo d’ingiustizia attuale.  

Nel Paese si tocca l’assurdo: è annullato un corso dello scrittore Paolo Nori su Dostojeskiy all’Università Bicocca di Milano, il fisico Rovelli è zittito, censurato il giornalista Marc Innaro, corrispondente Rai da Mosca; alla Scala è cancellata l’esibizione di Valery Gergiev

Anche il Papa è accantonato, spesso nascosto proprio, anche attaccato, i suoi appelli per la pace non sono più da prima pagina. 

L’accusa più infamante rivolta al pacifismo è la supposta pretesa di chiedere all’Ucraina di arrendersi agli invasori. Ma nessuno, nel movimento pacifista che organizza carovane nei luoghi della guerra, mette in discussione il diritto di difesa di un Paese sovrano aggredito e invaso stabilito dall’art.51 della Carta delle Nazioni Unite.

Ma i pacifisti l’art.51 se lo sono letti per intero e ricordano come dopo il diritto all’autodifesa vi è un “fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”. Quel fintantoché può essere sostanziato solo da un negoziato, dalla diplomazia, da una conferenza di pace. Insomma dalla politica. Che invece preferisce ecclissarsi per far parlare la forza muscolare degli eserciti e delle armi. 

Ma se il pacifismo è velleitario, ininfluente, poca cosa, perché sempre è subito attaccato, censurato, oscurato e denigrato? E non solo dai guerrafondai più incalliti e di professione. Ma la pace, il pensiero critico, il no alla guerra non dovrebbero essere il perno dei valori occidentali? Per di più che tutte le guerre combattute nei quattro decenni precedenti – Iraq, Afghanistan, Libia ecc. – si siano risolte in un fallimento e abbiano portato a maggiore insicurezza nel pianeta, non sono servite come lezione?

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