La corsa al riarmo globale, avviata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, ha subito un vero e proprio salto di qualità negli ultimi anni, influenzata da vari fattori geopolitici, conflitti regionali e cambiamenti nelle dinamiche di sicurezza globale. Se il pretesto di questa corsa al riarmo è attribuibile all’invasione russa dell’Ucraina (24 febbraio 2022) questo processo era in verità già in nuce da anni. Nel 2023 è stato comunque registrato l’aumento maggiore dal 2009. 

Da sempre una di una delle più importanti storiche e attendibili istituzioni pacifiste internazionali, l’Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca della Pace, (lo Stockholm International Peace Research Institute, in sigla Sipri) elabora e fornisce dati e tabelle sulle tendenze in corso. Nel suo ultimo rapporto, viene evidenziato come nel 2023 gli investimenti in armi e militari abbiano raggiunto una cifra record: 2290 miliardi di euro (circa 2440 miliardi di dollari). Una cifra in aumento del 6,8% in termini reali rispetto al 2022 e pari al 2,3% del Pil globale. Sono conseguenze dirette dell’incancrenirsi della guerra in Ucraina e dell’esplosione in larga scala di quello a Gaza.

L’aumento è generalizzato e riguarda tutti i continenti o le regioni, dall’America all’Asia, passando per l’Europa e il Medio Oriente. Gli Stati Uniti continuano a guidare questa speciale classifica, rappresentando il 37% della spesa globale. L’investimento nella difesa statunitense ha raggiunto 916 miliardi di dollari, con un aumento del 2,3% rispetto al 2022. Quella Usa è tre volte superiore a quella della Cina, avvertita come il nuovo nemico principale da contenere ed affrontare nel prossimo futuro. Pechino infatti ha stanziato circa 296 miliardi di dollari, il 6% in più rispetto all’anno precedente. Al terzo posto c’è la Russia con circa 109 miliardi di dollari, cioè il 4,5% a livello globale, con un aumento del 24% su base annua. Un valore che è pari al 5,9% del suo Pil. La quarta nazione è l’India con 83,6 miliardi di dollari, una spesa militare superiore del 4,2% rispetto al 2022. Poi c’è l’Arabia Saudita che si attesta come quinta. A seguire il Regno Unito, la Germania e poi l’Ucraina, ottavo paese nel settore della difesa con un aumento annuo del 51 per cento che l’ha portata a raggiungere una quota di 64,8 miliardi di dollari in gran parte finanziati dalle nazioni dell’UE e NATO.

Al nono posto la Francia mentre alla decima posizione c’è il Giappone. L’Italia è al 12esimo posto, Israele è al 15esimo posto, con un aumento considerevole (+24%) vista la sua offensiva su Gaza e sul Libano.

Nel 2023 i membri della NATO hanno speso per la Difesa 1.341 miliardi di dollari, pari al 55% della spesa militare mondiale: gli Stati Uniti hanno aumentato la spesa del 2,3% raggiungendo i 916 miliardi di dollari, pari al 68% della spesa militare totale della NATO composta per il 28 per cento dagli alleati europei e per il 4% dal Canada e dalla Turchia.

La spesa militare della Polonia, la 14a più alta al mondo, è stata di 31,6 miliardi di dollari, dopo essere cresciuta del 75% tra il 2022 e il 2023, di gran lunga il maggiore aumento annuale di qualsiasi paese europeo.

  • Commercio internazionale delle armi

Nel contesto di guerra mondiale a pezzi il complesso bellico/industriale ha visto i propri profitti aumentare a dismisura. Il commercio internazionale delle armi sta vivendo una vera e propria “età dell’oro”. Secondo il SIPRI, il mercato delle armi è aumentato del 1,5% nel periodo 2018-2022, con gli Stati Uniti che continuano a essere il principale esportatore, seguiti da Russia, Francia e Germania. L’instabilità in regioni come il Medio Oriente e l’Asia ed il ruolo della lobby bellica/industriale hanno spinto molti Paesi a investire in armamenti, spesso seguiti da tagli alla spesa sociale degli Stati. In Italia , la legge 185 del 1990, sul controllo parlamentare della produzione e del commercio degli armamenti, è messa in discussione da una controriforma approvata già alla Camera dei Deputati e ora in attesa del voto definitivo del Senato (https://retepacedisarmo.org/2024/basta-favori-ai-mercanti-di-armi/).
La legge fu conquistata dalla straordinaria mobilitazione pacifista del cartello “Contro i mercanti di morte” guidato da due riviste cattoliche “Nigrizia” e Missione Oggi”, a quel tempo dirette da padre Alex Zanotelli e padre Eugenio Melandri rispettivamente missionario comboniano il primo e saveriano il secondo. 

Nei primi 30 anni di legge 185 erano state autorizzate esportazioni dall’Italia per materiali d’armamento per un controvalore di 97,75 miliardi di euro a valori correnti (che diventano 109,67 miliardi di euro con il ricalcolo a valori costanti 2019) a dimostrazione di come una legge avanzata e innovativa nei principi e nei meccanismi, possa essere aggirata e perdere efficacia a causa di modifiche e applicazioni non corrette.

La situazione di distanza tra i principi della Legge e la sua applicazione è sempre stata documentata e denunciata dal movimento pacifista italiano e dalle sue reti. Sul divieto ad esportare armi verso Paesi in stato di conflitto armato, sotto embargo internazionale, con politiche in contrasto con l’articolo 11 della nostra Costituzione, con gravi violazioni dei diritti umani, si presenta questa situazione: “Dopo un paio di decenni di applicazione abbastanza rigorosa, i Governi hanno iniziato ad avere come obiettivo il sostegno all’export militare e non il suo controllo. Nel solo lustro 2015-19 le autorizzazioni (a valori correnti) sono state di poco superiori a quelle totali dei quindici anni precedenti (44 miliardi contro 43,5 e situazione di sostanziale pareggio anche considerando valori costanti al 2019). […] Gli ultimi cinque anni hanno poi accentuato la tendenza ad esportare al di fuori delle principali alleanze politico-militari dell’Italia (cioè verso Paesi non appartenenti all’UE o alla Nato): ben il 56% cioè 24,8 miliardi contro 19,2 miliardi. Possiamo quindi affermare che in tutto il corso di applicazione della Legge più della metà dell’export sia stato autorizzato al di fuori della naturale area di azione internazionale dell’Italia: un dato preoccupante se si considera che – secondo il testo della norma – le esportazioni di armamenti “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”.

  • Riarmo nucleare, Trattato INF e Premio Nobel ai sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki

 Dopo l’abbandono del Trattato INF nel 2019, che vietava i missili a corto e medio raggio, diversi paesi, tra cui Stati Uniti e Russia, hanno iniziato a sviluppare nuove armi nucleari e missili. Questo ha riacceso il dibattito sulla proliferazione nucleare e sul rischio di un nuovo confronto nucleare. Lo stesso Premio Nobel per la Pace 2024 assegnato a Nihon Hidankyo rappresenta la maggior parte degli hibakusha, i sopravvissuti e le sopravvissute ai bombardamenti atomici del 1945 (molti erano allora bambini e bambine, a Hiroshima e Nagasaki). In questi decenni l’associazione ha testimoniato l’orrore delle bombe atomiche ed è punto di riferimento del movimento della pace che si batte per un mondo libero da armi e minacce nucleari. 

Nelle motivazioni con cui il comitato norvegese ha deciso di assegnare il Premio Nobel a Nihon Hidankyo si sottolinea, in particolare, l’impegno attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, affinché le armi nucleari non siano mai più utilizzate. “Gli straordinari sforzi di Nihon Hidankyo e di altri rappresentanti degli Hibakusha – si legge nel testo di assegnazione del Premio – hanno contribuito enormemente all’istituzione del tabù nucleare. È quindi allarmante che oggi questo tabù contro l’uso delle armi nucleari sia sotto pressione. Le potenze nucleari stanno modernizzando e potenziando i loro arsenali; sembra che nuovi Paesi si stiano preparando a dotarsi di armi nucleari e si minaccia l’uso di armi nucleari nelle guerre in corso. In questo momento della storia umana, vale la pena ricordare cosa sono le armi nucleari: le armi più distruttive che il mondo abbia mai visto”. Nonostante sia cresciuto il numero dei Paesi che hanno sottoscritto e ratificato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari TPNW rimangono ostinatamente fuori i Paesi che le armi nucleari le detengono e tanta parte di quelli occidentali (compresa l’Italia). Da anni la campagna “Italia ripensaci” (https://retepacedisarmo.org/disarmo-nucleare/italia-ripensaci/) porta avanti d’iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della classe politica e decine sono le mozioni approvate dai consigli comunali a favore della ratifica del trattato in diverse città italiane.

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