Ernesto Balducci: il pacifismo ad una svolta

Dico subito che sono preoccupato, per eccesso di emozione, di dover far fronte, come devo fare questa sera, alla responsabilità di aprire un convegno del genere.

La mia emozione è cresciuta quando Lodovico Grassi ha ricordato Giorgio La Pira e Lorenzo Milani. Nel vedermi dinanzi ad una assemblea molto più numerosa di quella che osavamo sperare, mi sono sentito rimandare indietro, ad anni grigi e difficili, per altri versi più difficili di questi, in cui con Giorgio La Pira facevo interminabili conversazioni sul «crinale apocalittico», e in cui ebbi l’incontro folgorante con Lorenzo Milani e la sua scuola sulla collina di Barbiana che ormai è abitata soltanto dal vento e che tuttavia è un luogo della geografia spirituale dell’Italia che si rinnova. Ho sentito che passa a me una certa responsabilità, a me che in qualche modo sono stato partecipe delle loro tribolazioni, che ho conosciuto come loro i tribunali per la causa della pace.

Vorrei dare voce a questa eredità di speranze, di riflessioni e di testimonianze singolarissime, collocandola in un quadro storico così profondamente, e così terribilmente nuovo.

  1. Da quando ho saputo che sarebbe toccato a me aprire un incontro come questo, in cui gli uomini abituati a ragionare e ad agire dentro gli stretti spazi del possibile politico seggono accanto agli avversari irriducibili delle severe leggi della ragion di stato, è venuta ancora una volta a disturbarmi dai vecchi libri di scuola un’immagine di cui voglio liberarmi subito dinanzi a voi.

Nel chiudere il quarto dei suoi Discorsi dello svolgimento della letteratura nazionale Giosuè Carducci contrappone alle figure massime del nostro Rinascimento Girolamo Savonarola che in Piazza Signoria rizzava «roghi innocenti contro l’arte e la natura»… «e tra le ridde de’ suoi piagnoni non vedeva povero frate, in qualche canto della piazza, sorridere pietosamente il pallido viso di Niccolò Machiavelli». Le ombre dei due grandi fiorentini, del profeta disarmato e del fautore delle milizie cittadine si proiettano oggi su questo auditorium e in ogni caso si proiettano dentro di me a ricordarmi le due verità contrapposte: che non si dà vera repubblica se non è il popolo a reggerla con le sue energie morali e che non si dà vera repubblica se il potere, fermo alle regole che sono sue, non arma di forza militare il suo diritto. Eppure noi non siamo qui, ne sono convinto, a ripetere le sterili argomentazioni antinomiche tra chi, in nome dell’ideale morale, detesta l’uso della forza e chi vi si adatta in nome della «verità effettuale». Il tempo in cui siamo – è questa l’ipotesi che ha suggerito il convegno – è talmente nuovo che ormai l’utopia deve (e lo può!) apprendere il linguaggio del realismo e il realismo deve (e lo può!), rimettendo in questione le sue premesse, integrare in sé le prospettive dell’utopia. Sarebbe già un contributo alla pace se gli alunni dell’utopia e quelli del realismo, invece di accusarsi reciprocamente di perfidia e di candore, facessero uno sforzo per comprendere gli uni le ragioni degli altri. Arriverebbero a capire che ormai le opposte ragioni per lo più convivono nella medesima coscienza e che forse è venuto il tempo di risolverle in una superiore ragione, l’unica da cui è possibile attendere salvezza.

  1. La prima tesi, infatti, che pretendo proporvi è appunto chela questione eterna pace-guerra ha raggiunto una novità epocalee che dunque essa non può più essere affrontata con le categorie ereditate dal passato. Sorpassata la soglia atomica, la specie umana non potrà sopravvivere se non compiendo un salto di qualità, una mutazione, tanto per usare il linguaggio filogenetico. È quanto dicevano, all’ombra del fungo atomico di Hiroshima, uomini come Albert Einstein e Bertrand Russell, che non possono essere certo sospettati di vaneggiamento savonaroliano: o l’umanità «cambia modo di pensare» o va verso la catastrofe. Non è un assioma carismatico, è un corollario induttivo che postula un nuovo rapporto tra coscienza morale e maniera di pensare, senza di che diverrà un abisso mortale la sproporzione tra il soggetto e l’oggetto, tra la specie uomo e il mondo nato dalle sue mani.

Dopo trent’anni, la mutazione non è avvenuta, è vero, ma l’abisso si è allargato. E nel contempo si sono andate generalizzando alcune certezze che potremo anche leggere come primi sintomi che il messaggio di Hiroshima ha lentamente modificato la coscienza comune, e cioè che la mutazione è già avviata.

La prima verità contenuta in quel messaggio è che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verità intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l’immagine eurocentrica della storia, essa si è dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione più recente e più organica è quella del Rapporto Brandt. L’unità del genere umano è ormai una verità economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano non solo che non è il Sud a dipendere dal Nord ma è il Nord che dipende dal Sud, innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco è resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud è sottoposto e poi, più specificamente, perché esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l’aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell’ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l’appunto, nel solo anno 1979. E più comincia a pesare il fatto, sempre più conosciuto, che la morte per fame non è un prodotto fatale dell’avarizia della natura o dell’ignavia degli uomini, è il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un’immensa quota dei profitti nell’industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioè 10 volte di più del necessario per eliminare la fame nel mondo. Ripeto: questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, quanto meno col loro voto, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno più la coscienza tranquilla; il miope realismo dei governi e dei partiti è tallonato da un crescente risentimento morale, che fa riscontro, sia pure in modo ancora debole, alla collera che fermenta nel Sud e prepara la terribile rappresaglia del domani.

La seconda verità di Hiroshima è che ormai l’imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, è arrivato a coincidere con l’istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell’aggressività distruttiva. Fino ad oggi è stato un punto fermo che la sfera della morale e quella dell’istinto erano tra loro separate e conciliabili solo mediante un’ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell’istinto di conservazione (di cui anche la paura è un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualità.

La terza verità di Hiroshima è che la guerra è uscita per sempre dalla sfera della razionalità. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l’hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioè come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini – per usare il linguaggio di Croce – l’«accadimento» funesto generava l’«avvenimento» fausto. Ma ora, nell’ipotesi atomica, l’accadimento non genererebbe nessun avvenimento, o, meglio, l’avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell’accadimento. Si capisce anche perché il vecchio marchingegno della morale cattolica, voglio dire la dottrina della guerra giusta che era anch’essa a suo modo una riduzione della guerra nei confini della ragione, a partire da Papa Giovanni, abbia perso ogni legittimità e difatti non sia mai più stata riesumata dal magistero cattolico.

  1. Queste tre verità non sono contestuali alla cultura e alla pratica politica ancora dominanti sia all’Est che all’ovest, ne implicano anzi il superamento. Esse prefigurano un pacifismo di nuovo tipo che, a mio giudizio, non è in linea di continuità col pacifismo tradizionale. Per pacifismo tradizionale non intendo qui le forme idealistiche o misticheggianti su cui giustamente cadeva il sarcasmo di Marx, ma quelle correnti ideologiche che hanno posto a fondamento della politica la ricerca di una pace definitiva. In questo senso potremmo parlare di tre diversi pacifismi che hanno accompagnato, contestandole, le culture via via dominanti il cui dogma centrale era la inevitabilità della guerra, condensato nell’assioma «si vis pacem para bellum».

Si ravviva oggi quel pacifismo che vorrei chiamare umanistico, perché ebbe le sue prime manifestazioni nell’età di Nicola Cusano e di Erasmo, ma che potrei chiamare anche, utilizzando un lessico più alla moda, radicale. Il suo principio è la tolleranza, il suo nemico è il fanatismo, da quello religioso (il pacifismo umanistico nacque non per nulla come risposta alle guerre di religione) a quello ideologico.

La pace tra gli uomini e tra i popoli non va posata sulla fede religiosa o su qualsiasi altra fede ma su ciò che negli uomini è comune, sulla loro natura razionale, la cui voce è la coscienza. Le pagine scritte nel ‘600 da John Locke e da Pierre Bayle sono, a rileggerle, di straordinaria attualità. Esse ben si accordano con ciò che l’analisi antropologica moderna ci dice circa i meccanismi autoritari che hanno nelle istituzioni i loro luoghi di funzionamento e di occultamento.

«Voilà l’ennemi» diceva Voltaire indicando la chiesa cattolica. Anche il pacifismo radicale vede il nemico preferibilmente nelle istituzioni, in particolar modo nell’esercito, e ripone la causa dello spirito aggressivo nell’influenza nefasta che esse hanno sulle coscienze. Ciò che manca o che è debole, nel pacifismo radicale, a causa del suo impianto individualistico, è la disponibilità al confronto e soprattutto la giusta considerazione del valore delle istituzioni, della loro capacità, almeno potenziale, di garantire il cittadino dinanzi al privilegio e di fornirgli strumenti di diritto per il perseguimento della giustizia e dell’uguaglianza. Ecco perché esso è stato sempre un pacifismo elitario, capace di svegliare le coscienze ma incapace di mordere realmente sulle cause che generano i conflitti interni ed esterni alla società. Il principio della tolleranza è senza dubbio necessario a dar fondamento ad una società pacifica, ma esso va coniugato con una militanza che miri a tenere al servizio della pace le istituzioni.

E questo, appunto, il principio del pacifismo democratico. Secondo la formula ideologica che gli dettero, al suo nascere, i giacobini, esso identifica la causa delle guerre con le tirannidi, e la fondazione della pace con l’esercizio effettivo della sovranità popolare. I popoli amano la pace – ecco il dogma democratico – in quanto il lavoro, la prosperità, la libertà coincidono con i loro interessi, mentre la guerra produce sprechi, rovine, servitù militari. Bastarono i plebisciti per Napoleone a dimostrare quanto fosse ingenuo il dogma giacobino. E tuttavia l’idea che un popolo, una volta che gli siano assicurati gli strumenti formali della sovranità, rifugga naturalmente dalle guerre, ha avuto vita lunga. Nel primo dopoguerra esso ebbe una splendida riviviscenza con la dottrina di Wilson che tenne a battesimo la Società delle Nazioni. Ma fu proprio nella più democratica delle repubbliche, nata dalle rovine dell’Impero tedesco, quella di Weimar, che prosperò e trionfò, col rispetto delle regole, il nazismo. Ed oggi noi siamo qui a constatare che, per sventura di tutti, un paese di sicura democrazia formale come gli USA ha ridotto la Statua della Libertà, che fu il suo simbolo, ad un malinconico pezzo da museo. La pace poggiata sulla volontà dei popoli ha un ben fragile fondamento! Il limite della ideologia democratica è che essa chiama in causa il popolo senza tener conto delle forze che nel suo seno si contrastano e lo frantumano piegandolo alla loro logica.

La risposta più razionale alla questione della pace sembrava averla data il pacifismo socialista. L’internazionalismo operaio è senza dubbio l’utopia pacifista più straordinaria che sia nata nel mondo moderno. Il suo strumento di lotta, lo sciopero, è stato ed è un’arma non violenta, che ha modificato dall’interno tutti i rapporti sociali. Ma ognuno sa che esso non è stato in grado di arrestare nessuna delle due guerre mondiali: anche quando è stato indetto, lo «sciopero per la pace» non ha mai funzionato. Lenin ha aggiornato la dottrina marxista della guerra, dimostrando che essa è strutturalmente connessa alla società capitalistica e che perciò vivrà e morirà con questa. La sua razionalità è nel fatto di portare al limite l’inevitabile crisi del capitalismo e di preparare così il suo capovolgimento: la rivoluzione. È quanto avvenne, per suo merito, in Russia. Ma la sua tesi, smentita per due volte, era che una guerra mondiale avrebbe dovuto generare una rivoluzione mondiale.

La crisi del pacifismo socialista si è aggravata in questi ultimi tempi, provocando un collasso estremo nella nostra cultura. I suoi segni sono di due ordini. Là dove si ritiene di aver già realizzato il socialismo, non solo si è messo in piedi un apparato di resistenza militare che eguaglia quello delle potenze capitalistiche (e in questo, chi condivide la critica socialista all’imperialismo del capitale, potrebbe anche vedere un dato provvidenziale) ma ha mutuato in pieno la cultura borghese della repressione. Tra gli stessi paesi socialisti, o quanto meno liberi dalla logica del capitale, c’è attualmente lo stato di all’erta: segno, per molti, che le cause della guerra non sono riducibili all’economia di mercato.

Ma la crisi deriva anche dal fatto che la spiegazione leninista è contraddetta almeno da due dati oggi emergenti: i movimenti pacifisti all’interno del mondo capitalistico e l’ingresso in scena dei Paesi ex coloniali in lotta per la loro liberazione. Per Lenin tutte le potenze capitalistiche si equivalevano, dalla Russia zarista all’Inghilterra parlamentare. Per quanto duttile, il suo pensiero era ancora succube dello schematismo economicistico. Non solo, ma quello che noi chiamiamo Terzo Mondo era per lui soltanto una appendice del mondo capitalista, una specie di immensa retroguardia del proletariato occidentale. Dinanzi ad uno scenario storico così imprevisto qual è quello odierno, l’ideologia socialista appare ormai inadeguata a dar fondamento ad un pacifismo all’altezza delle necessità. Essa sconta fino in fondo il lato positivistico della sua origine che l’ha tenuta subalterna all’ideologia borghese. Non è forse una tesi di Marx e di Lenin che il proletariato è il naturale erede della cultura della borghesia, che è intimamente cultura di violenza? Niente di strano che ben poco sia rimasto oggi, in occidente, del pacifismo proletario. Non è forse vero, ad esempio, che, stretti nel cappio delle necessità del sistema, gli operai prestano oggi la forza lavoro anche nell’immenso apparato che, in Italia come in tutto il mondo industriale, produce armi da esportare nei paesi del Terzo Mondo per dar forza ai regimi oppressivi? Marx ed Engels non si sarebbero forse scandalizzati, dato che per loto la pace sarebbe stata il risultato di una rivoluzione mondiale che, dandosi la necessità, avrebbe potuto anche far uso della violenza delle armi. Ma che senso ha oggi parlare di rivoluzione armata, quando le classi dominanti del sistema imperialistico hanno in mano le armi atomiche? 

  1. Tutto dunque sembrerebbe perduto: da una parte il riaccendersi dell’antagonismo tra i due blocchi maggiori, prigionieri della logica del sorpasso nel potenziale distruttivo, dall’altra un movimento di coscienze disarmate che spesso sembra dibattersi ancora nelle maglie di un pacifismo messo fuori corso dalla storia. La storia parla nei fatti. La patria della prima democrazia borghese e la patria della prima democrazia proletaria sono ormai due fortezze armate che rischiano di esplodere; in mezzo, l’Europa di Erasmo, di Robespierre, di Marx divenuta, come l’Italia tra Francesco I e Carlo V, terra calpestata, anzi traforata per i futuri confronti tra le due fortezze; al Sud del pianeta, in stato di allarme, i popoli per i quali la crescita militare delle due superpotenze significa soltanto miseria e fame. Nessuno, venti an-ni fa, avrebbe potuto immaginare uno scenario così apocalittico. È lo scenario del terrore, punto di approdo di una civiltà che fin dalle origini ha scelto non il rifiuto della violenza ma la sua disciplina razionale.

Prende senso, in simile contesto, un fenomeno su cui vorrei fermare la vostra attenzione: il fenomeno della progressiva disgregazione di quella razionalità che fino ad oggi era riuscita a dare cornice e coesione interna al nostro sistema di civiltà. Esso ha a che fare con l’equilibrio e lo squilibrio del terrore.

In un serio rapporto preparato e pubblicato dall’ONU nel 1977 è detto testualmente che ormai l’unica via secondo ragione sarebbe quella di non costruire più armi atomiche e di distruggere quelle esistenti. Come dire, dunque, che al momento attuale le relazioni internazionali si muovono senza nessun supporto di ragione, nella pura follia. Coloro che, in nome del realismo, ritengono che comunque l’equilibrio del terrore, appunto perché equilibrio, è sufficiente a scongiurare la guerra, riflettano su quanto è avvenuto in questi ultimi anni. L’equilibrio del terrore si basava su di un presupposto: che cioè ciascuna delle due superpotenze fosse in grado di rispondere all’attacco dell’altra. La parità: ecco il residuo della ragione sopravvissuto nel cuore del Terrore! Ma la tecnologia della distruzione, che ha al suo soldo uno sterminato esercito di scienziati e di tecnici, ha compiuto, per fecondità interna, nuovi balzi prodigiosi che han finito col distruggere quest’ultimo residuo della ragione. La precisione degli ordigni atomici nel colpire il bersaglio è tale che la potenza attaccante può, in un sol colpo, immobilizzare l’intero apparato missilistico di quella avversaria, in modo da rendere impossibile la risposta. Tutto dipende quindi dalla condizione di superiorità dell’una sull’altra. La logica dell’equilibrio tra l’attacco e la risposta è dunque finita. I rifugi antinucleari – buon prò per l’Italia – sono ormai del tutto inutili, non essendo più pensabile un preavviso di 10-15 minuti. La guerra comincerà e finirà con una prima salve: un lampo e il genocidio sarà compiuto. E finirà così l’età del bipolarismo e cioè l’età della parità nella deterrenza. L’unica garanzia di pace nel mondo è l’unipolarismo e cioè l’egemonia di una sola potenza su tutto il pianeta: un’ipotesi assolutamente inaccettabile e impraticabile. Inaccettabile per evidenti ragioni morali e impraticabile per un’altra ragione. Secondo un’immagine di Einstein, l’equilibrio del terrore è come due scorpioni in una bottiglia: l’uno risparmia l’altro per timore di restare ucciso. Ma oggi nella bottiglia ci sono 15 scorpioni, quanti sono gli Stati dotati di armamenti atomici.

L’immagine degli scorpioni è proprio adatta ad aprire, per via suggestiva, la riflessione cui sopra accennavo, sulla crescente irrazionalità del nostro costume sociale. Il contenimento dell’ipotesi guerra dentro i limiti della ragione non ha mai avuto un riscontro effettivo nella realtà delle cose ma, se non altro come progetto pubblico, ha reso onore alla natura razionale dell’uomo, salvandolo dal cinismo. Esso ha agito come presupposto fondamentale dell’intera articolazione della vita associata, che ne derivava una certa razionalità: i rapporti tra i cittadini dovevano ispirarsi alle regole della pace e della collaborazione. La civiltà della guerra è stata, insomma, fino ad oggi, a suo modo, anche la civiltà della ragione, dentro la quale tutte le dialettiche, anche quella tra borghesia e proletariato, erano possibili. Ma, superata la soglia atomica, la violenza è uscita fuori dei limiti della ragione e ha messo allo scoperto la sua parentela con l’istinto di morte. Quando la violenza esce fuori dell’orbita della ragione partorisce il terrore. Troppo poco, in questi anni, si è insistito sulla simmetria, non solo terminologica, tra il terrorismo dal basso, che vuol mutare il sistema attraverso l’uso del crimine, e il terrorismo dall’alto, che mette in conto, a ciglio asciutto, anche l’ipotesi dell’uso della bomba al neutrone. La morsa dei due terrori stringe il corpo sociale e vi suscita la violenza endemica e, più generalmente, quella che vorrei chiamare la cultura del cinismo. Il clima morale di cui ogni democrazia vive, e cioè la fiducia dell’uomo nell’uomo, è in rapido deterioramento.

Ma la democrazia sta morendo anche per un’altra ragione, e cioè per lo svuotamento sostanziale della sovranità popolare. E sempre stato riconosciuto che il diritto, tolto il quale la sovranità viene meno, è quello di decidere tra pace e guerra. Oltrepassata la soglia atomica, questa decisione viene di necessità sottratta ai popoli e ai parlamenti. Secondo un accordo preso dalla NATO in una sua riunione ad Atene nel 1962, tocca al presidente degli USA decidere in un batter d’occhio di toccare o meno il bottone da cui potrebbe derivare la conflagrazione del mondo. La democrazia, dunque, è già finita. Gli appelli reiterati alle nuove forme di partecipazione, rese possibili dal decentramento dello Stato, fanno da copertura ad una radicale espropriazione di potere, non solo del popolo nei confronti del nostro Stato, ma del nostro Stato nei confronti della remota e incontrollabile monarchia collegiale da cui dipende il suo destino.

La relativa inerzia delle masse nasce anche da questa percezione che, per una necessità tecnica contro cui non ci sono argomenti, il potere per eccellenza è passato ormai in mani irraggiungibili: l’alternativa tra vita e morte non rientra più nella coscienza e nel potere del cittadino ex-sovrano. Nell’area sovietica questa passività fatalistica è il prodotto fisiologico di una burocrazia da cui scende ogni informazione, ogni indicazione strategica, ogni decisione. Nell’area occidentale la passività, invece, è accuratamente allevata da un uso appropriato degli strumenti di informazione di massa. Poco importa osservare che, però, nel nostro mondo, sono possibili le marce e le manifestazioni come quella di oggi: basta il controllo legale dei mass media per tener saldo il consenso alla linea dominante. È la tecnica dell’occultamento ideologico della verità delle cose. Solo chi gode, come noi qui raccolti, del privilegio di informazioni multiple e dell’attitudine al dubbio metodico può ritenersi immune dal contagio dei circuiti elettronici di cui si serve il Principe per trasformare la sua verità in verità ufficiale. Inutile attendersi, per esempio, dalla nostra Rai-TV che spieghi al popolo perché tra la decisione missilistica della NATO a Bruxelles e la decisione governativa di installare i missili a Comiso non c’è stato, come avrebbe dovuto esserci, il rispetto della clausola dell’approvazione del SALT 2 da parte del Congresso Americano. O che spieghi il dramma economico-militare della Russia, che deve in un sol tempo provvedere a quattro «parità» militari: con gli USA, con l’Europa, con la Cina e col Giappone. O perché si installino proprio a Comiso dei missili che hanno una gittata di 2.000 km, o al massimo 3.000, e cioè di un raggio di azione che lambisce appena il territorio sovietico, mentre copre la Libia, l’Egitto e il Medioriente.

Questa scaltra utilizzazione dello strumento informativo riesce, oltretutto, a coprire il vuoto di potere decisionale nelle nostre sfere governative e a far passare come orientata alla pace una strategia disegnata in un palazzo imperiale che ha nel contempo al suo attivo ben precisi crimini di manomissione dell’autonomia dei popoli. E soprattutto riesce a nascondere che la corsa al riarmo è già, di per sé, una guerra guerreggiata che produce, alle nostre spalle, milioni di morti per fame. Nel linguaggio informativo dominante si continua a ragionare di guerra e di pace con i medesimi termini di ieri, si opera cioè per l’incultura perché si lascia in ombra il dato nuovo che, oggi, una guerra tra i blocchi non può essere seriamente pensata se non in termini di genocidio. In occidente, la rapida simbiosi stabilitasi tra il militarismo e l’apparato industriale ha disciolto il nodo che stringeva i progetti di guerra alle ragioni patriottiche o ideologiche e li sta trasformando in deliranti ma lucidi teoremi dove la guerra appare non più come mezzo ma come un fine a sé, il cui corrispettivo economico sono l’incentivo al profitto e l’inflazione e il cui corrispettivo ideologico non è nemmeno l’odium generis humani, è la pura e semplice insignificanza dell’uomo. Come previde Einstein, l’uomo atomico prepara il totale capovolgimento evolutivo, il ritorno dell’uomo con la clava. 

  1. Ed eccoci così alla questione di fondo. Si avverte, sempre meno confusamente, che se ci sarà una reazione all’altezza dell’estremo discrimine in cui siamo, essa non potrà essere più la proposta dei pacifismi tradizionali, per preziosa che sia la loro eredità, ma un mutamento culturale (la mutazione di cui sopra dicevo) che metta fine, una volta per sempre, all’età neolitica, tanto per usare un’espressione cara a Teilhard de Chardin, o alla preistoria, come diceva Marx. Io sono tra coloro che nelle nuove manifestazioni pacifiste vedono farsi strada una richiesta di cambiamento, non dico della politica, ma dei termini fondamentali della presenza dell’uomo alla storia e al mondo, e cioè la richiesta del passaggio da una civiltà che aveva assunto la competizione come molla del suo stesso sviluppo ad una civiltà che, rimettendo in questione l’ideologia del progresso che sta alla base della sua buona coscienza, ponga la sua radice nell’altra valenza dell’uomo, rimasta fino ad oggi marginale, consolatoria e comunque inefficace: quella dell’apertura dell’uomo all’uomo come condizione del proprio essere, della collaborazione come condizione del proprio sviluppo, della solidarietà con l’intera specie come condizione del suo essere persona.

Qualcuno potrebbe farmi un cenno per avvertirmi che, a questo punto, il viso pallido di Machiavelli sorride. Ma è proprio vero? Machiavelli non è solo lo spietato osservatore della realtà dell’uomo e degli imprevedibili giochi della «fortuna», è anche l’umanista che fa affidamento, invece che sulla provvidenza o sul caso, sulla «virtù», che nel suo linguaggio vuol dire capacità di far fronte in modo efficace agli imprevisti. 

Anche oggi, come allora, il realismo disgiunto dalla fiducia nella «virtù» (quello guicciardiniano, per intenderci) è condannato alla disperazione. Ne ha dato un sintomo agghiacciante Frederic Skinner che, giorni fa, dichiarava ormai prossima la morte del mondo. «Non c’è più tempo… La nostra specie si è sempre retta sulla capacità di reagire ai fatti contingenti. Ma l’accelerazione del nostro tempo è tale che biologicamente non ce la facciamo più a modificarci, anche se tutti fossimo persuasi di doverlo fare. Dire che in passato abbiamo sempre risolto tutto è come dire a un moribondo che è sempre guarito dalle malattie precedenti. Il mondo potrebbe essere malato senza speranza» (Intervista a «la Repubblica», 4-11-1981). Ecco come il positivismo, un tempo ideologia del progresso, sta cedendo le armi dinanzi all’ideologia della morte. Il dogma che sta dietro questa ideologia (un dogma contro cui già insorse Marx in una delle sue tesi su Feuerbach) è che, uso ancora le parole di Skinner, «non sono gli uomini a fare il mondo ma il mondo a fare gli uomini». Dico subito che anche per me il calcolo delle probabilità è dalla parte di Skinner. Mi rendo perfettamente conto che le previsioni del futuro sono di morte, se vengono condotte sulla pura e semplice proiezione del presente, e se non vengono intercettate da un’istanza di altra natura che non può essere dimostrata ma creduta con fede morale: la capacità dell’uomo di riprendersi in mano la propria storia. Insomma, la «virtù» del Machiavelli. So bene che il pacifismo avrebbe un carattere ludico e perciò, in tempi come questi, seriamente indecente se non fosse una risposta morale completamente consapevole delle sue implicazioni, senza concessione alcuna all’idealismo politico o religioso. Svolte fino in fondo, queste implicazioni arrivano a prefigurare una nuova condizione antropologica, quella dell’uomo di pace, non calato dal cielo profetico delle Beatitudini, ma emerso dalle maglie evolutive della specie, in obbedienza al suo principio primo, quello di non morire. Se ne rendeva conto, giorni fa, anche Francesco Alberoni, sia pure con quel linguaggio disimpegnato che pare convenga ai sociologi: «Un movimento pacifista, oggi, non può essere che pacifista fino in fondo, non violento fino in fondo. Deve rinunciare a distinguere fra armi buone ed armi cattive, fra guerre giuste e guerre ingiuste. Un movimento pacifista, oggi, deve produrre un mutamento interiore, un rifiuto totale della violenza e tradursi in comportamenti politici dove non c’è alcuna indulgenza verso i violenti anche se hanno ragione». («Corriere della Sera», 27-10-1981).

Una parola, infatti, ricorre sempre di più in questi ultimi mesi: cultura della pace. La parola è giusta purché si dia al termine cultura il senso forte che ha acquistato per merito degli studiosi di antropologia: «cultura della pace», come c’è stata «cultura dell’età paleolitica» o quella dell’età neolitica.

E vero, il tempo è breve, così breve che è già un grave obbligo adoperarsi perché non sia accorciato. Ed è questo che noi chiediamo alla politica. Sarebbe già molto che, in attesa che la mutazione antropologica si svolga secondo i suoi ritmi, i partiti e i governi riuscissero ad impedire che la Terra sia distrutta. Non sarebbe giusto infatti pretendere che chi ha responsabilità del governo politico si faccia carico totalmente della richiesta che ho illustrato. Essa chiama in causa la società in tutte le sue articolazioni organiche, anzi – non dovremmo aver paura a riconoscerlo – chiama in causa primariamente le singole coscienze. Difatti, alla base della cultura della pace c’è una virtù che non può essere insegnata: è la fede dell’uomo nell’uomo e, in generale, la fede dell’uomo nelle risorse della sua specie, rimaste represse e mortificate dalla gelida stagione del cinismo morale. Non si obietti che questa fede nell’uomo non è in regola con i rigori della ragione, perché è appunto questa ragione che sotto le forme del rigore a nient’altro è intenta se non a codificare l’esistente e a proiettarne le forme nel futuro, è proprio questa ragione il primo bersaglio della fede morale. D’altronde anche questa ragione cinica ha le sue forme di fede, quella, ad esempio, di cui danno prova Reagan ed Haig quando propongono come seria l’ipotesi di una guerra al neutrone regionale e controllata!

Ma poi la fede morale che io pongo, insieme a due miei maestri, Teilhard de Chardin e Karl Jaspers, a fondamento della civiltà della pace, non è più un semplice postulato. Essa ha già dalla sua parte alcuni processi in corso, il cui senso unitario si svela solo se essa viene assunta come loro punto di riferimento e di sintesi. Si tratta di processi che stanno battendo in breccia, anno dopo anno, le premesse antropologiche della civiltà della guerra, dalla quale vivi o morti dovremo pur uscire!

La prima di queste premesse è che l’uomo sia per natura aggressivo, di quell’aggressività distruttiva che noi chiamiamo violenza. Le ricerche antropologiche ci hanno condotto ad un punto in cui non ha più senso dire che l’uomo è per natura pacifico o che l’uomo è per natura violento. La natura dell’uomo è nel suo farsi, è cioè nella sua cultura. Come dire che l’uomo è così come si fa. Insomma, una cultura della pace non contraddice a nessun dato irreformabile, scritto nei cieli o sulla terra. Osserviamo cosa avviene nella società cresciuta all’ombra del fungo atomico.

Per la prima volta nella sua storia la specie umana è fisicamente come un individuo solo, secondo la suggestiva immagine di Pascal: un individuo con la coscienza ancora dispersa e frazionata nel suo organismo, ma con strutture fisiche e psichiche già pronte perché avvenga l’unificazione soggettiva. Le barriere Est/Ovest e, più ancora, quella Nord/Sud, sono sempre più intollerabili: chi le tollera è un ominide il cui sottosviluppo è insieme intellettuale e morale. Se trionferanno gli ominidi, il tempo della fine è già segnato, perché la loro egemonia è diventata impossibile. Infatti si è finalmente scoperto che il colosso della civiltà della tecnica ha i piedi di argilla. Il Sud lo sa e quando lo schiavo si accorge che il padrone non sarebbe padrone se lui non fosse schiavo, il tempo del padrone è finito, ed è finita la sua cultura. Il padrone può morire come Sansone o può morire di tranquilla morte naturale. Noi lottiamo per questa seconda ipotesi e la storia forse ci sta aiutando.

Il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente fisico non può più essere quello che è stato, non lo può più per ragioni fisiche. L’ideologia dello sfruttamento illimitato della natura si capovolge ormai contro i suoi fautori. Già si sta riscoprendo e propugnando un nuovo rapporto con la natura che non è quello alienante del romanticismo, è un rapporto che già cammina verso l’utopia marxiana dell’uomo naturalizzato e della natura umanizzata. La passione ecologica è un capitolo importante della cultura della pace.

Si diffonde la presa di coscienza che uno dei luoghi di riproduzione (è proprio il caso di dirlo) della violenza è il modo storico in cui si è determinato il rapporto uomo-donna, tanto nell’esercizio della sessualità quanto nel dispiegamento sociale e culturale della sua bipolarità. L’emancipazione femminile, con il connesso mutamento del senso della sessualità, segna potenzialmente un salto qualitativo nella stessa soggettività umana. L’altra metà del cielo, anzi l’altra metà della Terra, a partire dall’età neolitica, è stata mantenuta con violenza al di fuori degli spazi in cui si crea la storia: l’uomo del neolitico è un uomo dimidiato e proprio per questo violento. L’emancipazione femminile è potenzialmente un altro capitolo della cultura della pace.

Sono passati dieci anni da quando il rapporto Faure, condensando un’indagine commissionata dall’UNESCO, riconosceva che la crisi della scuola era un dato evidente in ogni parte del mondo e osava affermare che, alla radice di questa crisi, c’era una mutazione antropologica. Noi abbiamo la pretesa di sapere di che mutazione si tratti. La scuola, nelle forme e nei modi che le sono stati assegnati dalla rivoluzione borghese e che nei paesi dell’Est europeo appaiono aggravati, è sempre stata l’apparato ideologico destinato a procurare consensi al potere costituito o quanto meno alle classi dominanti. Le classi dominanti, per definizione guardano al mondo con l’occhio del dominio e cioè con l’occhio del «particulare»: la loro universalità comporta la schiavitù degli altri. Ma nell’età planetaria le barriere sono cadute, almeno nell’orizzonte conoscitivo. L’unica cultura in grado di provocare un’eco veramente umana nelle coscienze è la cultura planetaria, che non potrà essere se non una cultura di pace. Le scuole, come sono, fungono, in larga mi-sura, da luoghi di riproduzione della violenza, nel senso che coltivano una memoria storica particolaristica, funzionale al dominio. La cultura planetaria già nasce contrassegnando, per contrasto, l’arcaicità della cultura scolastica e condannandola alla stanchezza o al qualunquismo. Non ci potrà essere più una vera scuola che non sia una scuola della pace.

Le istituzioni politiche vivono ancora della spinta originaria che dette vita allo Stato, e cioè, secondo la definizione di Weber, al monopolio pubblico della violenza. Nei modi concreti del loro funzionamento ed in contrasto col loro principio formale, esse sono coetanee alla civiltà della guerra, cioè al passaggio dal bellum omnium contra omnes, alla guerra come iniziativa del pubblico potere. Divenuta impossibile la guerra, anche le istituzioni devono mutare natura, sotto pena di perdere sempre più di significato per la coscienza del corpo sociale. Stretti tra la logica della lotta per il potere e quella della coscienza del corpo sociale, i partiti scontano di anno in anno questa loro ambivalenza. Il realismo politico li spoglia ormai di dignità e di efficacia. Essi non possono ritrovare un senso che immergendo le loro radici nei movimenti della coscienza, agitata dai problemi universali della nuova congiuntura. E già avviene, come in Olanda o come in Inghilterra, che l’obiezione di coscienza rientri nei programmi delle grandi formazioni partitiche o addirittura dei governi.

Ma il fenomeno forse più rilevante, che dà conforto alla fede nell’uomo, è la nuova dialettica che si è aperta all’interno delle grandi religioni.

Dirò in breve, al riguardo, la mia convinzione, limitandomi, e non solo per brevità, al cristianesimo, dopo aver notato che qualcosa di analogo sta avvenendo in tutte le grandi religioni, le quali non per nulla hanno dato vita, fin dal 1970, ad una conferenza per la pace in cui periodicamente confrontarsi col problema di fondo del genere umano. 

La soglia atomica, come ho detto, in quanto crinale tra morte e vita del genere umano, è di sua natura il luogo evolutivo di una mutazione. Se l’alternativa della vita trionferà, essa non potrà essere che nel senso di una composizione unitaria del genere umano. Il che significa che tutto ciò che è nato e cresciuto con i segni del «particulare» potrà sopravvivere solo se saprà accettare le nuove misure di universalità concreta. Come le altre religioni, il cristianesimo non potrà non apparire (e già appare) come il patrimonio di una porzione del genere umano. La sua storia, nel bene e nel male, si confonde con quella dell’occidente. L’attuale congiuntura agisce come un pungolo mortale su questa sua forma storica, un pungolo che sgretola quel che è connesso alla relatività storico-geografica e, nello stesso tempo, fa emergere il suo nucleo profetico, rimasto imprigionato finora nel suo involucro religioso. La profezia cristiana ha questo di proprio e forse di esclusivo: che è una profezia messianìca, investe cioè la totalità delle speranze degne dell’uomo, prima fra tutte la speranza della pace. In questo senso il cristianesimo trabocca dai confini religiosi e si commisura, senza sforzi, sulla qualità laica della storia. Chi non è interno al mondo cristiano difficilmente potrà rendersi conto della grande mutazione in corso, velata dal sopravvivere, anzi dalla ripresa di vigore delle sue vecchie istituzioni. In realtà, non solo il cristianesimo cattolico ma anche quello delle altre confessioni che fanno capo al Consiglio Ecumenico delle Chiese sta spostando l’asse della propria vita interna o della propria missione storica dagli spazi religiosi a quelli antropologici, dove hanno rilievo decisivo la giustizia e la pace. Su queste frontiere l’ecumenismo è già in atto. Morendo alle sue terribili stagioni di complicità con le guerre, il cristianesimo di ogni confessione mette in evidenza la sua indole di fondo, che è la passione per l’uomo del futuro. Le chiese intuiscono che la transizione alla civiltà della pace è come un appuntamento storico che Dio ha loro fissato e su cui le giudicherà. Una chiesa veramente evangelica è come un’obiezione di coscienza piantata da Dio nella carne viva del mondo. Lo abbiamo visto anche in questi mesi: le chiese, perfino nei loro vertici istituzionali che sono più tardi a muoversi e che d’altronde hanno ancora un pesante conto da pagare alla civiltà della pace, si sentono sospinte sulle trincee dove si prepara la guerra per pronunciarvi il loro no. Secondo alcuni, è già matura la stagione per un concilio ecumenico in cui le chiese si ritrovino non per lanciare un nuovo messaggio al mondo ma per assumersi, nei modi loro propri e con tutte le conseguenze, la responsabilità della sopravvivenza del mondo e, in positivo, dell’avvento della civiltà della pace. L’urgenza di questo concilio nasce anche dal fatto che «il tempo è breve»: lo dice la Scrittura e lo dicono gli scienziati.

Nella copertina del «Bollettino degli scienziati atomici americani» c’è disegnato un orologio le cui lancette segnano pochi minuti prima di mezzanotte, l’ora fatale. Le lancette in questi mesi, hanno fatto alcuni scatti avanti. È nei minuti che ci restano che deve assumere vigore e capacità d’incidenza la transizione alla civiltà della pace.

Noi siamo tra quelli che hanno fretta. Per questo vi abbiamo invitato.

Approfondimenti dall'archivio

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Documenti
Congelare gli aiuti militari ad Algeria Egitto e Tunisia | Rete Italiana per il Disarmo, Tavola della Pace | Testo dell appello | 30-11--0001 | Parole chiave: Disarmo, Intervento umanitario, Libia, Siria, Egitto, Algeria, Tunisia
The Russel-Einstein Manifesto | Bertrand RUssel, Albert Einstein | Testo integrale del Manifesto | 09-07-1955 | Parole chiave: Disarmo, Nato, Pugwash, Disarmo Nucleare
Appello per il disarmo nucleare in Europa | Coordinamento nazionale dei comitati per la pace | Appello del Coordinamento nazionale dei comitati per la Pace per la dissoluzione dei blocchi | 28-04-1980 | Parole chiave: Antimilitarismo, Base Nato, Convenzione End, Disarmo Nucleare
Senza missili dalla Polonia al Portogallo | Ken Coates | Articolo pubblicato in Pace e Guerra, mensile diretto da Luciana Castellina, Claudio Napoleoni e Stefano Rodotà | 01-07-1981 | Parole chiave: disarmo nucleare, Convenzione End, missili
Greenham Common storia di donne per parole e immagini | Chiara Ingrao | La storia delle donne di Greenham con foto di Tano D'Amico | 27-08-1981 | Parole chiave: Antimilitarismo, Femminismo, disarmo nucleare, donne, greenham common
Contro la guerra con tutti i mezzi, soprattutto a piedi | Mario Pianta | Intervista di Mario Pianta a Tom Benetollo, pubblicata da il manifesto | 03-09-1981 | Parole chiave: Disarmo, Disarmo Nucleare, Euromissili, Perugia-Assisi, Tom Benetollo
Lettera aperta a chi ci governa | Giacomo Cagnes | Lettera pubblicata in "No ai missili, no alla guerra. Documenti sulla manifestazione No ai missili a Comiso dell'11.10.1981" | 11-10-1981 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Il mese della Pace | redazionale | Diario dall'Ottobre del 1981 su Pace & guerra | 22-10-1981 | Parole chiave: attivismo, disarmo nucleare, nucleare, manifestazioni, Reagan
500.000 in piazza per la pace e il disarmo | Giuliana Sgrena | Testo del documento letto da Giuliana Sgrena a nome del Comitato promotore della manifestazione del 24 ottobre nel corso del comizio conclusivo | 24-10-1981 | Parole chiave: Disarmo, Disarmo Nucleare, Manifestazione, Nato, Reagan, Riarmo
Mobilitarsi contro il riarmo | Cgil, Cisl, Uil | Appello Federazione Regionale Siciliana di Cgil, Cisl e Uil diffuso in volantino | 07-11-1981 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
La pace in movimento | Paolo Gentiloni | La nascita del Movimento per la pace: come si struttura, chi sono i protagonisti, obiettivi e difficoltà | 01-12-1981 | Parole chiave: disarmo nucleare, missili, comiso, nato, sicilia, base nato, movimento per la pace, albino bizzotto, ghedi
La lotta per la pace | Pio La Torre | Dalla Relazione al IX Congresso dei Comunisti siciliani, Palermo, 14 gennaio 1982 | 14-01-1982 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Il superamento dei blocchi potrà sconfiggere la logica del riarmo | Comitati per la pace | Documento approvato nell'assemblea nazionale svoltasi a Comiso tra il 6 e il 7 marzo 1982 | 07-03-1982 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Da Comiso un grido di speranza | Coordinamento nazionale dei comitati per la pace | Testo dell'appello approvato nel corso della manifestazione nazionale di Comiso del 4.4.1982 | 18-04-1982 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
La pace per noi cristiani | Salvatore Pappalardo | Testo dell'omelia del Cardinale Pappalardo durante la "Festa per la Pace" delle Acli | 04-07-1982 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Bollettino End n11 | aavv | Numero monografico sulla Convenzione End di Bruxelles | 07-07-1982 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo, Disarmo Nucleare
Appello al movimento pacifista italiano e internazionale | Campo per la pace di Comiso | Documento approvato a Comiso | 03-08-1982 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili, disobbedienza civile
C'era una volta la Ragnatela | Agata Ruscica | | 07-08-1982 | Parole chiave: Comiso, La Ragnatela
Da oggi a Natale, da Milano a Comiso, il no alla guerra | Diego Landi | Inizio della lunga marcia contro gli euromissili, da Milano al meridione. Articolo pubblicato su L'Unità | 27-11-1982 | Parole chiave: Comiso, manifestazioni
Dialogare un urgenza per il nostro tempo | Luigi Bettazzi, Dante Bertini | Testo di presentazione della quindicesima Marcia della pace di fine anno, patrocinata dalla Cei | 28-11-1982 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili, Manifestazione
Manifesto di Erice | Antonio Zichichi | Documento stilato nell'agosto 1982 in "Segno" | 12-01-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Carlo Bernardini e l'Unione Scienziati per il Disarmo | Francesco Lenci | La storia dell'impegno dello scienziato Carlo Bernardini per la pace, il disarmo e la sicurezza internazionale | 02-02-1983 | Parole chiave: Disarmo, Disarmo Nucleare, Scienziati per il disarmo
E ora Comiso | Redazionale | Prima pagina di Rinascita dedicata al movimento mondiale contro gli euromissili | 08-04-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Proposte per un referendum autogestito sull'installazione dei missili a Comiso | Comitato 24 ottobre per la pace contro la guerra | Nota informativa su tutta la logistica legata alla realizzazione del referendum autogestito | 12-04-1983 | Parole chiave: Base Nato, Missili, Comiso
Vittoria, territorio denuclearizzato | Comune di Vittoria | Dichiarazione del Consiglio Comunale di Vittoria | 30-04-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Bollettino End n.12 | aavv | Numero monografico sulla Convenzione END di Berlino | 14-05-1983 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo Nucleare
Votate e fate votare | Giuliana Sgrena | Articolo sul n.27 di Pace e Guerra sull'apertura dei 5 mesi di Referendum autogestito sulla base missilistica di Comiso | 02-06-1983 | Parole chiave: Comiso, Referendum autogestito
Cartoline da Comiso | aavv | Cartoline simboliche da inviare alle istituzioni per fare pressione politica contro l'installazione della Base di Nato a Comiso | 18-07-1983 | Parole chiave: Base Nato, Comiso, Euromissili
Guida alle azioni dirette nonviolente. I blocchi alla base di Comiso | Gruppo Affinità | Guida dettagliata, dattiloscritta, alle azioni dirette nonviolente contro gli armamenti e la militarizzazione | 07-08-1983 | Parole chiave: Comiso, Euromissili, disobbedienza civile
Dossier Comiso 8 agosto | I.M.A.C. (International Meeting Against Cruise) | Le azioni di blocco del 6, 7 e 8 agosto 1983, questo dossier nasce con lo scopo di informare sugli accadimenti, dando voce alle parole e alle immagini di chi era presente | 08-08-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili, disobbedienza civile
Chi sono i pacifisti europei | Tom Benetollo | Articolo pubblicato sul n.32 di Rinascita. | 12-08-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Tom Benetollo
Se ti picchiano non reagire | Giuliana Sgrena | Azione diretta nonviolenta di trecento pacifisti a Comiso raccontata da Giuliana Sgrena | 21-08-1983 | Parole chiave: Base Nato, Comiso, Euromissili
Appello del Coordinamento nazionale dei Comitati per la Pace | Coordinamento nazionale dei Comitati per la Pace | Appello in vista della manifestazione del 22 ottobre 1983 | 10-09-1983 | Parole chiave: Comiso, Manifestazione, antimilitarismo, Riarmo
Fine ottobre pacifista in tutto il mondo | Giuliana Sgrena | Calendario delle iniziative italiane e internazionali, per la pace e contro gli euromissili. | 22-09-1983 | Parole chiave: Comiso
Scheda referendum autogestito | . | Scheda fac-simile originaleReferendum autogestito sull’installazione dei missili a Comiso | 01-10-1983 | Parole chiave: Comiso, Missili, Referendum autogestito
Intervento di Ettore Masina | Ettore Masina | Resoconto stenografico dell'intervento Ettore Masina alla Camera, il 7-10-1983, su Comiso | 07-10-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Una giornata di pace | redazionale | La mappa del corteo sulla prima pagina dell'inserto su Roma di Repubblica. | 22-10-1983 | Parole chiave: Comiso, Euromissili
Ecco la galassia del pacifismo | Domenico del Rio, Mino Fuccillo | Cronaca dal "quartier generale" degli organizzatori della Marcia. Pagina intera di Repubblica | 22-10-1983 | Parole chiave: Base Nato, Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Indizione di un referendum popolare sulla installazione a Comiso o su altre parti del territorio nazionale di missili a testata nucleare | La Valle, Ossicini, Alberti, Anderlini, Cavazzuti, De Filippo, Agnoletti, Fiori, Gozzini, Loprieno, Milani, Napoleoni, Basaglia, Pasquino, Pingitore, Pintus, Ulianich | Disegno di legge AS262 1983 | 22-10-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Una nuova terribile spirale della corsa agli armamenti | Enrico Berlinguer | Testo della relazione tenuta da Enrico Berlinguer al Comitato Centrale del PCI del 25 novembre 1983 | 25-11-1983 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Riarmo, sovranità, democrazia | Pietro Ingrao | Lungo articolo di Pietro Ingrao a partire dall'articolo11 della Costituzione. Pubblicato nel numero 48 di Rinascita | 09-12-1983 | Parole chiave: Comiso, Euromissili, Costituzione
Il gruppo 10 marzo, oltre gli schemi, oltre i confini | Elisabetta Addis, Nicoletta Tiliacos | Nascita, storia ed evoluzione del gruppo 10 Marzo | 10-03-1984 | Parole chiave: Comiso, femminismo, greenham common, La Ragnatela
Già in tre milioni dicono "NO" ai missili | Gianni Marsili | Primo bilancio del Referendum Autogestito sull'Installazione dei missili a Comiso. Articolo pubblicato su l'Unità. | 16-03-1984 | Parole chiave: Base Nato, Comiso, Missili, Nato
Discorso sulla guerra e sulle donne | Alessandra Bocchetti | Perché soprattutto le donne dovrebbero chiedere la pace? Un lungo articolo di una storica direttrice del Centro Virginia Woolf | 20-03-1984 | Parole chiave: femminismo
I missili nucleari hanno reso vana l'idea di popolo sovrano | Gianni Marsili | Articolo su l'Unita. In assemblea ad Ariccia circa 600 comitati per la pace da tutta Italia. | 24-03-1984 | Parole chiave: Comiso, Convenzione End, Disarmo Nucleare, Euromissili, Referendum autogestito
Documento conclusivo Assemblea di Ariccia | Coordinamento nazionale dei comitati per la pace | Originale in lingua inglese | 25-03-1984 | Parole chiave: Antimilitarismo, Base Nato, Coordinamento nazionale dei comitati per la pace, Disarmo Nucleare
Intervento di Raniero La Valle | Raniero La Valle | Resoconto stenografico della seduta del 11.04.1984 | 11-04-1984 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Femminismo e… conflittualità, conflitto, violenza, nonviolenza | Paola Baglioni, Maria Luisa Boccia, Mary Joan Crowley, Chiara Ingrao | Il testo rappresenta le conclusioni del gruppo di lavoro su questi temi all’interno del seminario di donne del movimento pacifista tenutosi a Santa Severa il 25-27 maggio 1984 | 30-05-1984 | Parole chiave: femminismo, nonviolenza, Santa Severa
Streghe per la pace | Streghe per la pace | Testo originale dattiloscritto dello scherzo ai compagni maschi da parte del "Coordinamento Streghe per la pace" dal raduno di Santa Severa. | 31-05-1984 | Parole chiave: donne, femminismo
Mediterraneo La Nato pensa al riarmo I pacifisti alla denuclearizzazione | Mario Pianta | Articolo di analisi e di lancio del Convegno dedicato alla denuclearizzazione del Mediterraneo che si sarebbe tenuto a Comiso e ad Adelfia il 27 luglio del 1984 | 15-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo, Disarmo Nucleare
Agosto pacifista si torna a Comiso | Antonio Mazzeo | Azioni dirette nonviolente nei giorni caldi tra il 6 e il 9 agosto del 1984. Articolo su il Manifesto | 15-07-1984 | Parole chiave: Comiso, Disarmo Nucleare, Euromissili
Le donne alla Convenzione End di Perugia | Anna Martellotti | Articolo inedito di Anna Martellotti sulla Convenzione End (European Nuclear Disarmament). | 17-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo Nucleare
Le donne alla Convenzione END di Perugia | Anna Martellotti | Articolo inedito di Anna Martellotti sulla Convenzione End (European Nuclear Disarmament). | 18-07-1984 | Parole chiave: convenzione End, disarmo, disarmo nucleare, perugia, nucleare, femminismo
Perugia trattenuti all'est tutti i pacifisti non ufficiali | Francesco Santini | Apertura della III Convenzione End di Perugia | 18-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo Nucleare
A Perugia si parla di sicurezza nel Mediterraneo | Ulderico Munzi | Articolo su il Corriere della Sera | 20-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo Nucleare
Convenzione End e venne il giorno del Mediterraneo | Mario Pianta | Articolo per il manifesto sul confronto tra israeliani, turchi, greci e arabi | 20-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo Nucleare
Una fascia denuclearizzata dal Portogallo alla Romania | Mario Passi | Cronaca della giornata finale della Convenzione End di Perugia | 20-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo Nucleare, Missili
Lettera aperta alla III Convenzione per il disarmo nucleare | Charta 77 | Documento di Charta 77 n.13/84 | 21-07-1984 | Parole chiave: Disarmo Nucleare
Ieri a Perugia l' ultimo scontro dei pacifisti, sulla pace | Giuseppina Ciuffreda | Dalla Cerimonia di chiusura della Convenzione End. Articolo de il Manifesto | 22-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, Disarmo Nucleare
Dalle donne lo sguardo più fecondo sul pacifismo del dopo-missili | Chiara Ingrao | Documento inedito sulla Convenzione End di Perugia | 25-07-1984 | Parole chiave: Convenzione End, femminismo, perugia, End, Europear nuclear disarmament, donne
Norme per l istituzione del Referendum popolare in merito alla permanenza, passaggio, e produzione di armi nucleari, batteriologiche e chimiche sul territorio nazionale e sulla presenza di basi militari di Forze armate straniere sul territorio della Repubblica | . | Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare | 12-09-1984 | Parole chiave: Base Nato, Comiso, La Maddalena, Missili, Nato, San Damiano
Roma, Berlino, Praga: un incontro di donne oltre il muro | Silvia Zamboni | Viaggio per costruire un documento congiunto, il primo in assoluto, di donne pacifiste non allineate dei cinque Paesi europei | 11-10-1984 | Parole chiave: femminismo, Gruppo 10 marzo
Obiezioni | aavv | Numero1 del 1985 di Azione nonviolenta, rivista del Movimento nonviolento, dedicata alle obiezioni | 02-01-1985 | Parole chiave: Obiezione di coscienza, Obiezione fiscale
Fuori la guerra dalla storia | aavv | Lettera aperta firmata da: noidonne, La nuova ecologia, Arci Donne, Fdei, circolo Udi Nemorense, Casa-Balena, coordinamento Donne Ong per lo sviluppo, Il Paese delle Donne, Giancarla Codrignani, Joyce Lussu, coordinamento Donne Lega per il diritto dei popoli | 19-04-1986 | Parole chiave: disarmo nucleare, donne, femminismo
Obiezione di coscienza e Servizio civile | Lega degli Obiettori di Coscienza | Manifesto di un convegno fiorentino, dalla Raccolta di manifesti della Casa per la Pace ‘La Filanda’ di Casalecchio di Reno, curata dal Centro di Documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale | 03-11-1986 | Parole chiave: Obiezione di coscienza, Servizio civile
Da Andromaca a Cassandra: un percorso di libere riflessioni fra mito e realtà, fra i temi della pace e della guerra. | chiara ingrao | Brano tratto da "Né indifesa né in divisa" a cura di Lidia Menapace e Chiara Ingrao Il libro contiene gli atti di un convegno organizzato nel marzo 1987 dal coordinamento donne “Fuori la guerra dalla storia” e dal coordinamento donne elette nelle liste del PCI alla Regione Lazio. | 08-03-1987 | Parole chiave: Reagan, donne, femminismo, pacifismo, lidia menapace, greenham common
Né indifesa né in divisa | Chiara Ingrao e Lidia Menapace | Il libro contiene gli atti di un convegno organizzato nel marzo 1987 dal coordinamento donne “Fuori la guerra dalla storia” e dal coordinamento donne elette nelle liste del PCI alla Regione Lazio | 20-03-1987 | Parole chiave: Antimilitarismo, Femminismo
Un anno da Chernobyl | aavv | Appello per una catena umana dalla centrale nucleare di Caorso all'aereoporto di San Damiano | 26-04-1987 | Parole chiave: Base Nato, Disarmo, Disarmo Nucleare, Manifestazione
Concorso internazionale per la conversione della base miliatre di Comiso | La Valle e altri | Proposta di legge AC1717 1987 | 07-10-1987 | Parole chiave: Comiso, Euromissili, Riconversione
Proposta di legge di iniziativa popolare su trattati internazionali basi e servitu militari | Campagna Disarmiamoli | Il 4 novembre 2007 inizia la raccolta delle firme per presentare la proposta di legge elaborata dalla rete Disarmiamoli. | 23-10-1987 | Parole chiave: Disarmo Nucleare
Poteri locali e poteri militari. I fondamenti di un irragionevole pretesa | Pietro Barrera | Brano tratto da Poteri locali e poteri militari. Libro bianco degli enti denuclearizzati edito da Editori Riuniti Riviste, 1988 | 01-07-1988 | Parole chiave: Disarmo Nucleare, Euromissili, Nato
Richiesta di trasferimento ad attivita civili per ragioni di coscienza | Elio Pagani | Lettera diretta Direzione Aziendale Aermacchi | 27-10-1989 | Parole chiave: Obiezione di coscienza, Riconversione
Diritto alla obiezione di coscienza alla produzione bellica | Elio Pagani | Lettera di Elio Pagani a Famiglia Cristiana per aprire un dibattito per favorire l'affermazione del diritto alla obiezione di coscienza alla produzione bellica e del conseguente diritto ad un lavoro "socialmente utile" ed "eticamente corretto" | 27-10-1989 | Parole chiave: Obiezione di coscienza, Riconversione
Appello per la campagna Obiezione Fiscale alle spese militari | Associazione per la Pace | Appello promosso da: Associazione per la Pace, Lega per l'ambiente, Servizio Civile Internazionale, Missione Oggi, F.I.M. Cisl, Lega Obiettori di Coscienza, Lega per il Disarmo Unilaterale | 02-04-1990 | Parole chiave: Obiezione di coscienza, Spese militari
E' vero che siamo poco teoriche e molto pratiche | Francesca Bacchetti, Meris Bonettini, Giovanna Calciati, Cristina Giovanardi, Salwa Salem | Tratto dall'opuscolo La nonviolenza delle donne (incontro nazionale donne Associazione per la pace, Quattro Castella, 1990) | 10-04-1990 | Parole chiave: Antimilitarismo, Difesa nonviolenta, Femminismo, nonviolenza
Contro la guerra nella ex Jugoslavia | Donne in nero di Roma | " Oggi gridiamo all’orrore dei visi senza speranza di migliaia di profughi". Appello delle Donne in nero per la fine della guerra in ex Jugoslavia | 28-05-1992 | Parole chiave: Balcani, Difesa nonviolenta, femminismo
I venti anni della Lega obiettori di coscienza | Massimo Paolicelli | Scheda informativa dell'Archivio Disarmo scritta da Massimo Paolicelli in occasione del ventesimo anniversario della Legge n.772 del 1972, primo riconoscimento giuridico dell'obiezione | 09-12-1992 | Parole chiave: Obiezione di coscienza
Lettera di Stasa | Stasa | Lettera di Stasa sul Movimento donne per la pace e sulle Donne in nero | 02-09-1993 | Parole chiave: Balcani, Sarajevo, donne, femminismo
Per una lotta la loro nonviolenta contro gli indirizzi della produzione di Aermacchi | V. Caimi, F. Carcano, E. Pagani, R. Romano, A.S. Rossi, M. Tamborini | Dall’introduzione del libro “Nuovo ordine militare internazionale. Strategie. costi, alternative” (edizioni Gruppo Abele, 1993) | 10-10-1993 | Parole chiave: Obiezione di coscienza, Riconversione
Chi pensa alla formazione dei formatori | Silvia Nejrotti | Un corso Unip per gli obiettori | 01-04-1998 | Parole chiave: Obiezione di coscienza, nonviolenza
Verso il 20 marzo partono le Carovane per la pace | Comitato Fermiamo la guerra | Elenco delle Carovane: un serpentone arcobaleno lungo la penisola | 28-02-2004 | Parole chiave: Iraq, Manifestazione, Medio Oriente
Il 20 marzo una grande manifestazione nazionale a Roma | Comitato Fermiamo la guerra | Nascita del comitato "Fermiamo la guerra" per la mobilitazione mondiale contro la guerra decisa dopo il Forum di Bombay | 18-03-2004 | Parole chiave: Iraq, Manifestazione, Medio Oriente
Assemblea dei movimenti sociali del Mediterraneo | Delegazione palestinese al Forum Sociale del Mediterraneo | Dichiarazione conclusiva in lingua originale | 19-06-2005 | Parole chiave: Forum Sociale Mediterraneo, Medio Oriente
18 marzo l'Italia che ripudia la guerra | Comitato promotore della giornata del 18 marzo | Appello per la mobilitazione del 18 marzo, giornata internazionale contro la guerra, a tre anni dall’inizio della guerra all’Iraq | 18-03-2006 | Parole chiave: Iraq, Manifestazione, Medio Oriente
Manifestazione nazionale per la pace e la giustizia in Medio Oriente | Tavola della Pace, Action for peace, Coordinamento nazionale enti locali per la pace | Appello delle organizzazioni della società civile, dei movimenti e gli Enti Locali alla partecipazione alla manifestazione nazionale per la pace in Medio Oriente. 18 novembre, Milano. | 18-11-2006 | Parole chiave: Manifestazione, Medio Oriente
Nasce la Campagna ICAN | Ican | Il Trattato della messa al bando delle armi nucleari. Storia della Campagna | 03-03-2007 | Parole chiave: Disarmo Nucleare
Un futuro senza atomiche | Rete nazionale Disarmiamoli | Testo di lancio della raccolta firme per una legge d’iniziativa popolare affinché si dichiari l’Italia “Paese Libero da Armi Nucleari” | 23-10-2007 | Parole chiave: Disarmo Nucleare
Appello Libia | Alex Zanotelli | Tra le altre richieste: accoglienza per tutti quelli che fuggono da questa guerra, pressione sul nostro governo affinché sospenda il trattato di amicizia italo-libica | 24-02-2011 | Parole chiave: Libia
Libia da verde a rossa con il sangue dei suoi figli massacrati | Alex Zanotelli | Testo dell'appello | 24-02-2011 | Parole chiave: Libia, alex zanotelli
Tempo di guerra | Rosa Siciliano | Il pacifismo e l’intervento armato nelle aree di guerra. Raccolta di voci, tra cui: Mao Valpiana, Lisa Clark e Francesco Martone | 03-03-2011 | Parole chiave: Libia, Primavere arabe
Guerra giusta in Libia | Jesus Colina | Rappresentanti cattolici si uniscono per far tacere le armi. Articolo su Mosaico di pace | 28-03-2011 | Parole chiave: Libia, Primavere arabe
L'Italia ripudia la guerra. Anche quella in Libia | Monsignor Bertazzi | Eco all’appello del Consiglio Nazionale di Pax Christi per sollecitare tutti a «ripudiare la guerra» | 17-05-2011 | Parole chiave: Libia, Primavere arabe
Né indifesa, né indivisa: la posizione etica degli anni Ottanta | Marilisa Malizia | Quarto capitolo della tesi di dottorato di Marilisa Malizia. Il titolo della tesi di dottorato di ricerca in Politica, Istituzioni, Storia è "Il dilemma femminista dell’uso politico della violenza in Italia negli anni Settanta e Ottanta: tra pensiero politico e caso storico". | 01-01-2015 | Parole chiave: femminismo
No ad una seconda guerra in Libia | Alex Zanotelli e Angelo Del Boca | Appello per il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e per il movimento per la pace | 08-02-2015 | Parole chiave: Libia
No ad una seconda guerra in Libia | Angelo Del Boca e Alex Zanotelli | Appello al Ministro Gentiloni e a tutto il movimento pacifista | 08-02-2015 | Parole chiave: Libia
Il 12 marzo contro la guerra | Coordinamento contro la guerra le leggi di guerra e la Nato | | 18-02-2016 | Parole chiave: Libia, Manifestazione
Italia ripensaci | Italia ripensaci | Manifesto della Campagna Italia ripensaci! per la firma o la ratifica del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari | 06-06-2016 | Parole chiave: ICAN, disarmo nucleare
Lista Comitato No Nato No alla guerra in Libia | Comitato No Nato | Appello per dire al governo Renzi: L’Italia si dissoci dai bombardamenti, NO all’uso delle basi italiane e dello spazio aereo italiano. | 06-08-2016 | Parole chiave: Antimilitarismo, Libia, Nato
50 anni fa alle radici del futuro. Adista nella Campagna contro gli Euromissili | Alessandro Santagata | Newsletter tematica di Adista sulla Campagna contro gli Euromissili | 17-06-2017 | Parole chiave: Disarmo Nucleare, Euromissili
Pietro Pinna. Storia di un uomo in cerca di umanità | aavv | Numero monografico di Azione nonviolenta dedicato a Pietro Pinna | 07-07-2017 | Parole chiave: Obiezione di coscienza
Nuovi percorsi e prospettive per il disarmo nucleare dopo l adozione a New York del Trattato Internazionale di interdizione delle armi nucleari | Disarmisti esigenti | | 11-07-2017 | Parole chiave: Antimilitarismo, Disarmo, Disarmo Nucleare
Il Trattato di messa al bando delle armi nucleari | Ican | Traduzione italiana a cura di Controllarmi e SenzaAtomica | 09-11-2017 | Parole chiave: Disarmo Nucleare
La forza preziosa della societa civile | Rete Pace Disarmo | La storia della Campagna ICAN, dai primi passi alla ratifica del Trattato TPNW. Dal sito Rete Pace e Disarmo | 10-10-2020 | Parole chiave: Disarmo Nucleare, ICAN
Un secolo di storia della prima organizzazione internazionale di donne per la pace | Rosa Amodei | Intervento di Rosa Amodei, WILPF Italia durante l’Incontro online con gli studenti delle Scuole superiori, Teramo 10 marzo 2022. Da Peacelink | 04-04-2022 | Parole chiave: Femminismo
Mai piu l'arma nucleare | Laura Tussi | Articolo pubblicato su Atlante delle guerre in cui si ripercorre la campagna più estesa dei partigiani della pace nel mondo. Stoccolma, 1950 | 03-05-2022 | Parole chiave: disarmo nucleare, manifestazione
Donne contro gli euromissili | Maria Letizia Fontana | Una prospettiva transnazionale e di genere dei movimenti antinucleari femministi e pacifisti nei primi anni Ottanta in Italia e Belgio. | 06-06-2023 | Parole chiave: Comiso, La Ragnatela, disarmo nucleare, Euromissili
La Wilpf Cento anni di impegno per la pace e i diritti delle donne | Maria Grazia Suriano | Questo articolo si propone di illustrare l'esperienza pacifista femminista del Women's Lega Internazionale per la Pace e la Libertà. Dalla rivista Deportate, esuli, profughe | 02-02-2024 | Parole chiave: Femminismo, diritti umani

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