Flavio Lotti: in Marcia da Perugia ad Assisi, ieri e oggi

Due articoli, uno del 2011 e uno del 2024, per collegare la storia e il futuro della Marcia Perugia Assisi.

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Le idee, i percorsi e le proposte della Marcia Perugia-Assisi

Per alcuni è ancora solo il contrario della guerra. Per altri è sinonimo di rinuncia, di rassegnazione. Per molti è solo una bella utopia, tanto bella quanto irrealizzabile. Per la Perugia-Assisi è un’altra cosa: un valore e un diritto, un obiettivo e un metodo. Il discorso sulla Marcia, a mio avviso, deve partire da qui, da una riflessione su quella parola che per più di cinquant’anni è stata capace di mobilitare centinaia di migliaia di persone: pace.

Che cos’è questa pace? A cosa pensiamo quando parliamo di pace? Cosa intendiamo quando usiamo questa parola?

Nonostante la parola “Pace” sia breve, semplice e facile da pronunciare non gode di una definizione positiva. Tutti sanno dire, bene o male, cos’è la guerra, ma pochi sanno dare una chiara definizione della pace. 

Mentre la parola “guerra” descrive qualche cosa di preciso come la morte, le distruzioni, le armi, le atrocità, la parola “pace” descrive qualcosa di vago e indefinito: la fine dei combattimenti, il dopo-guerra, l’assenza di guerra. La guerra, anche quando entra nei linguaggi, nell’economia, in politica e nello sport, evoca tensione, contrapposizione, scontro mentre la pace evoca quiete, tranquillità, riposo. La guerra è azione, intervento, attacco, strategia, ordini. La pace invece è per lo più associata a passività, egoismo e rinuncia. Non a caso la guerra viene organizzata, pianificata e finanziata mentre la pace viene per lo più invocata o auspicata. Se la pace continua a essere un concetto debole e generico, aperto a mille equivoci e strumentalizzazioni, è perché continua a essere definita in modo negativo.

L’idea della pace per cui abbiamo marciato tante volte da Perugia ad Assisi è un’altra. E’ l’idea della pace positiva. E’ l’idea della pace come frutto maturo della giustizia e del rispetto dei diritti umani. In base a questa idea, la pace può essere definita come l’ordine sociale e internazionale nel quale tutti gli esseri umani possono godere di tutti i diritti umani. Per questo la pace positiva non è mai passività e arrendevolezza ma impegno quotidiano per la promozione di tutti i diritti umani per tutti, della giustizia e della democrazia a tutti i livelli. 

La pace così intesa non è quindi solo un valore al quale richiamarsi quando fa comodo, ma un diritto e un obiettivo da perseguire concretamente con gli strumenti della pace: la politica, l’educazione, l’informazione, la giustizia, la solidarietà, il diritto, il dialogo, la nonviolenza, la legalità, la condivisione, la cooperazione, il rispetto, la fratellanza, la democrazia, la partecipazione,… In questo quadro, l’opposizione alla guerra e alla sua preparazione non è che una delle tante cose concrete che si debbono fare per ottenere la pace. 

L’idea della pace positiva chiama in causa la responsabilità di tutti, persone, gruppi, organizzazioni, comunità locali, istituzioni, forze politiche, culturali e religiose. Se la guerra si fa con un numero sempre più ridotto di militari, la pace esige invece la partecipazione di tutti. Al posto della delega c’è l’assunzione di responsabilità, al posto della passività c’è la partecipazione e l’impegno personale. Ma non basta la “buona volontà” ci vuole anche la “buona politica”. La politica non è una delle tante vie della pace da percorrere a piacere. E’ la strada maestra. Se nel mondo si moltiplicano le tensioni e le crisi e tutti i giorni siamo costretti a fare i conti con le conseguenze di un grande e pericoloso disordine internazionale è perché la politica è precipitata in una crisi drammatica. Per questo, chi vuole sinceramente la pace deve impegnarsi a costruire una vera e propria politica di pace, una politica nuova e una nuova cultura politica nonviolenta fondata sui diritti umani. 

La pace ha bisogno di persone e istituzioni credibili ed efficaci, determinate a ripristinare il primato della politica sull’economia e sulle armi, decise a mettere al centro del loro impegno il bene comune, che operano coerentemente dal quartiere all’Onu. Accanto ai cittadini, c’è dunque un ruolo insostituibile che spetta ai Comuni, alle Province, alle Regioni, ai governi nazionali e a tutte le istituzioni internazionali democratiche fino all’Organizzazione delle Nazioni Unite. 

La Marcia Perugia-Assisi è nata e cresciuta attorno a questa nuova idea della pace con una progettualità che non insegue la storia ma che cerca di farsi storia e di costruirne una nuova. Prima il tempo lungo dello scontro Est/Ovest e della corsa al riarmo, poi la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, il progetto di costruzione di un nuovo ordine internazionale, la prima guerra del Golfo, la guerra nell’Ex Jugoslavia, e ancora la globalizzazione dell’economia, la guerra nel Kosovo, l’irruzione della società civile mondiale, l’11 settembre e la guerra in Afghanistan, il conflitto israelo-palestinese, la guerra in Iraq, la crisi economica internazionale e la primavera araba: la storia della Marcia Perugia-Assisi s’intreccia con tutti i principali eventi internazionali degli ultimi cinquant’anni ma, allo stesso tempo, delinea un altro orizzonte. 

La Marcia non è la mera espressione di una protesta o di una preoccupazione per quanto accade, ma il fulcro di un progetto che pone al centro la partecipazione attiva dei cittadini, dei giovani, della società civile responsabile e delle istituzioni locali. 

Le idee della Perugia-Assisi

La storia della Marcia Perugia-Assisi è la storia di tanta gente che ha accettato di fare i conti con la storia con spirito di giustizia e di solidarietà. In un tempo dominato dall’individualismo, dall’egoismo, dalla competizione selvaggia e dall’indifferenza, in un mondo in cui il discorso sul bene comune è stato soppiantato da quello sugli interessi dei più forti, centinaia di migliaia di persone hanno scelto di reagire all’ingiustizia, alla violenza, all’oppressione, facendosi carico del volto e del dolore dell’altro. La loro volontà di riconoscere agli altri la stessa dignità e gli stessi diritti rivendicati per se stessi li ha portati spesso ad unire la partecipazione alla Perugia-Assisi con un intenso impegno quotidiano teso non solo a prestare soccorso alle vittime di questa o quella tragedia ma ad andare sempre alla ricerca delle cause. Un impegno caratterizzato dalla volontà di unire la denuncia, la proposta e il fare in prima persona. Le loro idee e proposte sono diventate, anno dopo anno, le idee e le proposte della Marcia Perugia-Assisi, quelle che la marcia ha coltivato e maturato con pazienza, costanza e determinazione. Eccone alcune.

Contro la guerra 

C’è stato un tempo in cui si marciava per la pace solo quando bisognava mettere fine a una guerra. E ancora oggi c’è chi pensa allo stesso modo: ci si preoccupa della pace solo quando la si è già persa o la si sta perdendo. La Perugia-Assisi nasce nel 1961 dall’idea che le marce della pace vadano fatte prima della guerra e non dopo. Per questo solo cinque delle diciannove Marce realizzate sino ad oggi sono state convocate nel corso o nell’imminenza di una guerra. E’ successo solo nel 1981 per impedire l’installazione in Italia e in Europa di una nuova generazione di missili nucleari che avrebbero distrutto il vecchio continente; nel 1990, all’indomani dell’invasione irachena del Kuwait, per impedire che l’Italia entrasse in guerra a fianco degli Stati Uniti e per proporre un nuovo ruolo dell’Onu; nel 1993 per fermare la guerra scoppiata alle porte di casa nostra, nell’ex Jugoslavia, che già da due anni faceva strage di vite umane e di diritti in un clima di grande indifferenza politica e istituzionale; nel 1999 per mettere fine alla doppia guerra del Kosovo, alla guerra che Milosevic stava combattendo contro gli albanesi del Kosovo e a quella che il governo italiano e la Nato stavano combattendo contro la Serbia; e nel 2002 per chiedere all’Europa di intervenire per mettere fine all’assedio israeliano delle città palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e per scongiurare la nuova guerra annunciata dagli Stati Uniti contro l’Iraq.

Negli anni della guerra fredda e della divisione del mondo in blocchi contrapposti l’opposizione alla guerra e alla corsa al riarmo è dettata dalla coscienza e dalla consapevolezza dei pericoli che esse comportano e insieme all’enorme spreco di risorse. A partire dagli anni ’90 il rifiuto della guerra diventa, per i promotori della Perugia-Assisi, anche un comportamento ispirato ad un sano realismo.  “La guerra non ha senso perché è ormai chiaro che anche una guerra vinta non chiude il conflitto che voleva risolvere: lo riapre in forme ogni volta più terribili. Nessuna delle guerre intraprese dalla fine della guerra fredda, con le più diverse motivazioni, può dirsi conclusa. La puoi chiamare come vuoi, giusta, umanitaria, preventiva, inevitabile: il risultato non cambia. La guerra non risolve i problemi: li complica. La difesa dei diritti umani, delle persone e dei popoli, che ci viene fatto obbligo di esercitare richiede ben altri strumenti, tempi e modalità. Nessuno può permettersi di usarla strumentalmente per i propri interessi. Se è vero che la libertà e la giustizia non si conquistano con il terrorismo, è altrettanto vero che il terrorismo non si vince con le bombe. Per questo, insieme ai familiari delle vittime dell’11 settembre, denunciamo l’assurda pretesa di chi afferma di voler fermare la violenza con altra violenza. La guerra è una risposta sbagliata, inefficace, illegale, pericolosa e va messa al bando. Gridiamolo insieme: mai più guerra, mai più terrorismo, mai più violenza.” (dall’Appello della Marcia Perugia-Assisi del 2005).

Per l’Onu dei popoli

L’intervento della Nato nella guerra civile in Libia ha riportato alla luce tutte le debolezze e le contraddizioni dell’Onu. Prima la guerra fredda, poi l’unilateralismo americano e il ritorno dei nazionalismi hanno impedito a questa organizzazione di adempiere al mandato che gli era stato affidato. E oggi è sempre più debole, screditata e marginalizzata. Eppure, nonostante lo scetticismo di molti, dell’Onu non possiamo fare a meno. L’Onu, come la terra, è l’unica che abbiamo. Sapere che è debole e inquinata non ci consente di buttarla via. Anzi, ci deve spingere ad operare perché diventi realmente uno strumento a servizio dell’umanità. Il mondo ha bisogno dell’Onu perché ha bisogno di un centro in cui affrontare i suoi problemi e, per quanto malandata, l’Onu resta il solo punto di riferimento credibile. Se non ci fosse, dovremmo inventarla e certamente le daremmo una forma diversa. Ma se dovessimo incominciare oggi sarebbe tutto più difficile. Per questo dobbiamo prenderci cura dell’Onu e lavorare tenacemente per la sua riforma e democratizzazione. Questo obiettivo entra nell’agenda del movimento per la pace italiano con la Marcia che viene convocata nel 1995 in occasione del 50° anniversario delle Nazioni Unite. L’idea che l’Onu si debba mettere finalmente al servizio dei popoli e non più degli Stati più forti e che debbano essere innanzitutto i popoli ad esigerlo porta la Perugia-Assisi ad aprirsi al mondo, a valorizzare le relazioni che le associazioni e gli enti locali stanno coltivando nel mondo, a scoprire l’esistenza della società civile mondiale e a investire sul suo sviluppo. Per più di dieci anni è un continuo di forum, convegni, studi, assemblee, campagne, proposte, iniziative politiche ed educative condotte a livello locale, nazionale e internazionale all’insegna del motto “Reclaim our UN – Riprendiamoci l’Onu. E’ nostro!” Dopo tanti anni di dibattiti, gruppi di lavoro, comitati di saggi, rapporti e raccomandazioni è necessario riconoscere che nessuna riforma positiva delle Nazioni Unite sarà possibile senza una forte pressione della società civile mondiale.

Per un’economia di giustizia

“L’economia mondiale sta diventando sempre più ingiusta e insostenibile: uccide più delle bombe, semina guerre e tensioni, alimenta la povertà, la disoccupazione e l’esclusione sociale. Quest’ingiustizia affonda le radici in un neoliberismo che non sa rispondere ai veri bisogni delle persone e cresce in un’economia che privilegia le rendite finanziarie e i guadagni speculativi anziché la produzione; la competizione selvaggia anziché la cooperazione; la crescita quantitativa dell’economia anziché la qualità e la distribuzione dei beni e dei servizi; lo sfruttamento della natura e dell’ambiente anziché la loro protezione.” Oggi sono in molti a denunciarlo ma fino al grande crollo finanziario del 2008 tirava un’aria molto diversa. La Perugia-Assisi lancia un preciso allarme nel 1997 quando in molti rincorrevano le sirene della globalizzazione: L’economia mondiale che sta emergendo rischia di travolgere tutto e tutti in una spirale verso il basso che riduce i salari e la protezione sociale, viola molti diritti umani, crea nuove povertà, provoca l’aumento della disoccupazione, distrugge le risorse e l’ambiente naturale, alimenta la diffusione dell’economia “sporca” e accentua la crisi della democrazia politica.” Per il movimento per la pace si tratta di una prima volta molto importante: fino ad allora non aveva mai marciato mettendo al centro il dramma della miseria, della povertà e delle vittime della globalizzazione. Dopo aver affrontato il grande nodo della democrazia e delle istituzioni internazionali, la Perugia-Assisi fa i conti con i processi di globalizzazione dell’economia e della finanza in netto anticipo anche sul grande movimento “No Global” che farà irruzione nella scena internazionale a Seattle nell’autunno del 1999. Le proposte della Marcia “per un’economia di giustizia” sono chiare e lungimiranti: 1) mettere le persone al centro. Non sono le persone che devono adattarsi al dominio del mercato, ma è l’economia che deve contribuire a soddisfare i bisogni delle persone. La crescita economica non può essere il fine ma solo un mezzo. Il fine è lo sviluppo umano. 2) battersi contro la povertà e le disuguaglianze sociali mediante l’adozione di coerenti politiche e patti locali, nazionali e sovranazionali che coinvolgano anche gli enti locali, le forze sociali e quelle economiche. 3) creare nuova occupazione e ridare piena dignità al lavoro e ai lavoratori di tutto il mondo. 35 milioni di disoccupati nei paesi industrializzati, di cui oltre 20 milioni in Europa. Sono questi i numeri di quella che è la più grave crisi sociale del nostro tempo. Una crisi destinata ad aggravarsi nel prossimo futuro, quando si produrrà sempre di più con molto meno lavoro. 4) puntare sulla cooperazione a tutti i livelli. Mai come oggi abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale intensa ed efficace. Ma molti governi ritengono che se ne possa fare a meno e spesso prevale la miope difesa dei cosiddetti “interessi nazionali”. 5) democratizzare l’economia. L’assenza di regole democratiche sulle grandi imprese multinazionali e sulle istituzioni economiche e finanziarie internazionali priva i governi della capacità di controllare le proprie economie e i cittadini di determinare il proprio destino. 6) adottare un modello di sviluppo sostenibile. Bisogna invece ripensare che cosa si produce, come e perché. Bisogna rivedere gli stili di vita personali e collettivi eliminando gli sprechi e gli eccessi, controllando e ripensando i consumi, sostenendo le esperienze di commercio equo e solidale, promuovendo una nuova gestione etica del risparmio. 

Tutti i diritti umani per tutti

La Perugia-Assisi non propone solo una nuova idea della pace, ma anche dei diritti umani. Marcia dopo marcia non si parlerà più di “diritti dell’uomo”, i diritti sono anche quelli delle donne. Non si parlerà più solo di diritti civili e politici, ma anche di quelli economici, sociali, culturali. I diritti umani sono i diritti civili, politici, economici, sociali, culturali, i diritti alla pace, all’ambiente, allo sviluppo umano, alle pari opportunità da realizzare nel rispetto del principio della loro interdipendenza e indivisibilità. Lo stato sociale è indissociabile dallo stato di diritto. La democrazia sociale ed economica è indissociabile dalla democrazia politica.

Non se ne parlerà più come di “valori” altissimi da contemplare. Essi sono il nome dei bisogni umani vitali, materiali e spirituali e come tali costituiscono un insieme di “obiettivi” concreti che devono guidare la politica a tutti i livelli, dalla politica locale a quella internazionale, dalle nostre città fino all’Onu. I diritti umani costituiscono il nucleo centrale della legalità in un mondo alla ricerca affannosa di governabilità umanamente sostenibile. La legittimazione dell’agire delle classi governanti si gioca sul terreno della loro coerenza con il paradigma dei diritti umani. Essi sono pertanto la bussola legale, politica, morale per fronteggiare la grande crisi planetaria che colpisce centinaia di milioni di persone e minaccia la sopravvivenza dell’intera umanità. 

“Tutti i diritti umani per tutti” è lo slogan e il programma politico che unisce tutti coloro che da anni affermano che “un altro mondo è possibile”, di tutti coloro che vogliono “fare la differenza” per costruire un mondo più giusto libero dalla paura e dal bisogno. Promuovere “tutti i diritti umani per tutti” vuol dire realizzare la Città inclusiva, in una Europa e in un mondo inclusivi; vuol dire democratizzare e rafforzare le legittime istituzioni sopranazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, sviluppando la democrazia e una governabilità globale che, in base al principio di sussidiarietà, valorizzi in maniera crescente la partecipazione diffusa dei cittadini, delle loro organizzazioni sociali e sindacali e degli Enti di governo locale e regionale. Promuovere “tutti i diritti umani per tutti” vuol dire impegnarsi a costruire la pace laddove le guerre e il terrorismo uccidono, ma anche dove sono la miseria, lo sfruttamento e l’ingiustizia a distruggere la vita e la dignità umana. Promuovere “tutti i diritti umani per tutti” vuol dire sfidare l’idea che alcuni diritti possano essere separati dagli altri, che i diritti politici e civili possano essere separati dal diritto al cibo, all’acqua, ad un lavoro dignitoso, a vivere in un ambiente sano o al riconoscimento delle diversità; vuol dire respingere l’idea che i diritti di alcune persone o popoli possano essere sacrificati in nome della sicurezza, dello sviluppo o degli interessi dei più ricchi, dei più forti o dei più aggressivi. 

Per la fratellanza dei popoli

L’idea nuova che Aldo Capitini aveva posto al centro della sua Marcia ritorna a primeggiare nell’ultima Perugia-Assisi. E’ l’idea della fratellanza, che troviamo iscritta nel primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che proclama: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

“La fratellanza dei popoli”, abbiamo scritto nell’appello finale, “si basa sulla dignità, sugli eguali diritti fondamentali e sulla cittadinanza universale delle persone che compongono i popoli. I diritti umani sono il nome dei bisogni vitali di cui è portatrice ogni persona. Essi interpellano l’agenda della politica la quale deve farsi carico di azioni concrete per assicurare “tutti i diritti umani per tutti” a livello nazionale e internazionale. La sfida è tradurre in pratica il principio dell’interdipendenza e indivisibilità dei diritti umani – civili, politici, economici, sociali e culturali – e ridefinire la cittadinanza nel segno dell’inclusione. L’agenda politica dei diritti umani comporta che nei programmi dei partiti e dei governi ciascun diritto umano deve costituire il capoverso di un capitolo articolato concretamente in politiche pubbliche e misure positive.”

Nell’idea di “fratellanza dei popoli” si riassumono molte delle scelte urgenti che dobbiamo fare per superare la crisi che stiamo vivendo. Scelte complesse e per molti aspetti difficili. Ma sono anche scelte che si fanno sempre più inevitabili e urgenti, scelte che faremo bene a condividere e a realizzare quanto prima perché sono capaci di salvarci e di migliorare la nostra vita, di accrescere la nostra felicità, di farci riscoprire il piacere di stare bene insieme. Camminare insieme come facciamo da Perugia ad Assisi e come dobbiamo fare sempre di più tutti i giorni ci aiuterà a diffondere queste idee, a riproporle anche ai più scettici e a sollecitare una maggiore assunzione di responsabilità. La storia ci dice che il futuro non sarà solo frutto del destino ma anche del nostro lavoro. 

A ciascuno, ci dice Aldo Capitini, spetta la responsabilità di decidere cosa fare: se non vuoi essere parte del problema, diventa parte della soluzione.

Perugia, 1 ottobre 2011

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Immagina tutte le persone vivere insieme in pace

Di nuovo in cammino verso Assisi

Ground Offensive Begin. Scrivo queste note nel momento in cui i grandi circuiti internazionali dell’informazione annunciano l’avvio della nuova invasione israeliana del Libano. La precedente è del 2006, ma questa volta ad essere sull’orlo del baratro non è solo il Paese dei Cedri ma il mondo intero. Molti non si rendono ancora conto del pericolo. Altri preferiscono nasconderlo. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti quelli che la vogliono vedere. 

“Siamo vicini a una guerra quasi mondiale” ha denunciato Papa Francesco il 27 settembre scorso dal Belgio. Anche questa volta, come accade dall’inizio di questo pontificato, il suo grido d’allarme è stato silenziato. Ma la realtà è più forte dei suoi vergognosi manipolatori e il pericolo che dieci anni fa -quando Papa Francesco ha cominciato a parlare della “terza guerra mondiale a pezzi”- poteva apparire remoto oggi si materializza davanti a noi. Non è catastrofismo. 

La guerra, che nel 2014 si combatteva nella piccola regione ucraina del Donbass, oggi fa esplodere i suoi missili a Kiev e a Mosca e ci rigetta dentro l’incubo oscuro della guerra atomica. Da un anno assistiamo alla carneficina e alla devastazione della Striscia di Gaza e ora temiamo il peggio in Cisgiordania, in Libano e nel resto del Medio Oriente. E’ il vortice della guerra che infuria, si rafforza e si allarga senza regole né limiti. Di questo passo, quello che oggi vediamo malvolentieri in TV, rischiamo di viverlo domani nelle nostre città. 

“Ci stiamo avvicinando all’inimmaginabile: una polveriera che rischia di inghiottire il mondo” ha tuonato il Segretario Generale dell’Onu in chiusura del Summit del Futuro di settembre. “Il livello di impunità nel mondo è politicamente indifendibile e moralmente intollerabile. Oggi, un numero crescente di governi e altri soggetti si sentono autorizzati a fare di tutto. Possono calpestare il diritto internazionale. Possono violare la Carta delle Nazioni Unite. Possono chiudere un occhio sulle convenzioni internazionali sui diritti umani o sulle decisioni dei tribunali internazionali. Possono infischiarsene del diritto umanitario internazionale. Possono invadere un altro Paese, distruggere intere società o ignorare completamente il benessere del proprio popolo.”

Di fronte a questa situazione, non è facile impegnarsi per la pace. Lo sappiamo bene. Devi resistere al senso di impotenza che ti sale ogni giorno e agli attacchi di tutti i propagandisti della guerra che dominano la comunicazione istituzionale. Vediamo come trattano un uomo santo, un grande Papa come Papa Francesco. 

Eppure, se sai quanto sono grandi il bene della pace e il male della guerra, non puoi fare altro che rinnovare il tuo impegno. Non è solo un dovere morale ma anche una necessità urgente. Con questo spirito, il 21 settembre, nella Giornata Internazionale della Pace, ci siamo ritrovati a riflettere e a camminare assieme, ancora una volta in tanti e diversi, nella città di San Francesco d’Assisi. Ed è stato un momento speciale. 

Di fronte alle sfide e ai pericoli che incombono, di fronte all’incalzare di tragici eventi, è necessaria una mobilitazione straordinaria che, passando di bocca in bocca, di scuola in scuola, di città in città, di organizzazione in organizzazione, di parrocchia in parrocchia possa far crescere un grande movimento unitario di cittadini e istituzioni per la pace. 

Per alimentarla abbiamo ideato e avviato il programma “Immagina” che culminerà domenica 12 ottobre 2025 nell’organizzazione di quella che dovrà diventare la più grande Marcia PerugiAssisi della storia.

“Immagina” è il percorso di un anno, centrato sulla formazione di una nuova generazione di costruttrici e costruttori di pace. Persone che desiderano la pace, che la amano e siccome la vogliono la fanno, ci lavorano, si battono per ottenerla, s’impegnano a costruirla.

Sappiamo che il lavoro da fare è grande. Sappiamo che dobbiamo (1) ricostruire il nostro senso di responsabilità verso la pace; (2) ricostruire la capacità nostra e delle nostre istituzioni di “fare la pace”; (3) ricostruire la politica e le istituzioni della pace. Dalla più piccola alla più grande.

“Imagine all the People Living Together in Peace” – Immagina tutte le persone vivere insieme in pace. Questo è lo slogan della Marcia PerugiAssisi del 2025 che ci accompagnerà per tutto l’anno insieme a tre preziose bussole: la lettera di Papa Francesco “Fratelli Tutti, per la fraternità e l’amicizia sociale”, l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile e il “Patto per il Futuro”.

In un pianeta in fiamme, in un mondo in guerra, noi vogliamo spingerci in una direzione e in un mondo diverso. In un tempo buio, che uccide la fiducia e la speranza, noi vogliamo suscitare un sogno, antico e moderno: “il sogno di una società fraterna”.

In un mondo devastato dall’individualismo, dall’egoismo e dall’indifferenza che uccide e lascia uccidere, mentre lo scontro di interessi alimenta spietate guerre di ogni genere, mentre uomini spietati si accaniscono ferocemente contro bambini, donne, malati e anziani, in un mondo intriso di violenza, pieno di muri e confini, mentre si accelera un’incontrollata corsa al riarmo, di fronte ai segni sempre più marcati della “terza guerra mondiale”, noi vogliamo reagire con “il sogno della fraternità e dell’amicizia sociale”.

La fraternità è l’alternativa alla guerra: l’altro orizzonte possibile. Noi lo vogliamo immaginare, sognare, desiderare e costruire. Facciamolo assieme! Se anche tu condividi questo sogno, se vuoi tornare a sognare insieme, aiutaci ad organizzare la più grande Marcia PerugiAssisi per la pace e la fraternità. www.perlapace.it 

 

Flavio Lotti

Presidente della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace

 

Perugia, 30 settembre 2024

Approfondimenti dall'archivio

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