Quando, nel 2017, abbiamo saputo che dal nostro territorio erano partite delle bombe che avevano ucciso delle persone in Yemen, abbiamo capito che occorreva rompere il silenzio che avvolgeva la fabbrica di armi di Domusnovas-Iglesias, la RWM, controllata dalla Rehinmetall tedesca, un colosso della produzione bellica. Una manifestazione in piazza costruita con gli adolescenti, i giovani, le associazioni storiche del territorio, le sezioni regionali o locali di associazioni a carattere mondiale e poi, dal palco della piazza principale di Iglesias, la proposta: vederci il giorno dopo per “reagire” alla guerra che nasceva in casa nostra, ma interessava il mondo. Un sussulto di umanità dentro di noi: non vogliamo che la fame di lavoro nel territorio ci faccia cedere al ricatto.
Così è nato il “Comitato per la Riconversione della RWM, per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis-Iglesiente”. Il nome lungo e con elementi complessi ha lo scopo di comunicare con chiarezza i passi da compiere. Lo statuto, invece, è molto esile per facilitare nuove collaborazioni. Il Comitato ha funzionato in questi anni come un contenitore di competenze messe a disposizione: le 20 aggregazioni presenti avevano lunga esperienza in percorsi di pace. La novità è stata il mettersi insieme privilegiando gli aspetti di unità rispetto alle diversità culturali, di opzione religiosa, di longevità associativa, comunque presenti. Così attraverso i soci locali della Fondazione Finanza Etica che fanno azionariato critico, abbiamo “partecipato” annualmente con le nostre domande all’assemblea dei soci delle Rheinmetall; la Pastora della Chiesa Battista locale, attraverso la rete delle Chiese Protestanti ha creato occasioni di conoscenza e finanziamento per progetti ancora in corso, il Movimento dei Focolari ha offerto il supporto del gruppo di studio, riflessione e azione “Economia Disarmata”, attraverso il quale si sono fatte esperienze importanti di impegno e con cui si condivide oggi il “Laboratorio per la Riconversione Industriale”, che riunisce esperti, sindacalisti, docenti universitari di tutta Italia per lo studio di proposte relative anche al Sulcis-Iglesiente.
Le associazioni a carattere cittadino, prevalentemente laiche, poi, nel portare avanti i loro specifici obiettivi, hanno creato reti importanti di supporto e conoscenza reciproca. Ci siamo occupati di aspetti ambientali, legali, contrattuali, abbiamo analizzato i movimenti di produzione ed esportazione dell’azienda. Uno dei temi portanti della prima fase è stato chiedere alle istituzioni locali e nazionali, oltre al rispetto della Costituzione, anche quello della L.185/90 che, come è noto, vieta l’export di armamenti verso paesi in guerra o in violazione dei diritti umani.
La RWM nel 2019, pur definita come impresa del settore della Difesa, destinava infatti percentuali bassissime dei propri prodotti all’Italia e all’Europa, mentre una fetta consistente della produzione andava all’Arabia Saudita. C’è voluto il governo Conte II per applicare la legge in un modo che non aveva precedenti: oltre al divieto di autorizzazioni future, sono state revocate anche quelle già concesse precedentemente dal governo Renzi. A quel punto ci aspettavamo che una fabbrica che non può vendere l’80% circa della sua produzione fosse dichiarata in crisi, aprendo la strada alla riconversione. Ma politici e sindacalisti andavano in tutt’altra direzione: al centro non il lavoro, ma la RWM, alla cui difesa si sono impegnati in tanti tra Assessori e Consiglieri regionali, Sindaci e Consiglieri comunali di vario colore politico, sindacalisti e giornalisti. Occorreva un’altra reazione forte: accanto alla sempre aperta richiesta di riconversione della fabbrica abbiamo cercato di connettere il “lavoro buono” esistente sul territorio. Imprenditori agricoli, artigianali, di servizi, professionisti che ripudiano la guerra, in rete per la pace e la transizione ecologica: è il progetto Warfree-Liberu dae sa gherra, finanziato nella parte d’avvio dalla chiesa protestante del Baden Baden, in Germania, quasi a tracciare una linea contraria a quella segnata dalla Reihnmetall. Gli aspetti portanti sono stati studiati con alcuni giovani studenti e ricercatori universitari, sostenuti da diversi docenti dell’Università di Cagliari.
Nel 2021 dal progetto è nata l’Associazione i cui membri si impegnano ad escludere in tutti i modi la guerra dalla loro produzione, dalle loro modalità operative e considerano il lavoro umano irriducibile al solo stipendio, ma portatore di realizzazione personale, impatto sociale ed economico positivo. Cambiare l’economia dal basso a partire dalle microimprese pare sproporzionato davanti all’apparato industrial-militare e a tutti i suoi sponsor, specie oggi. Constatiamo, però, che la nostra è un’utopia generativa, che aggrega, dà nuovi impulsi, sostiene e coglie nessi: via via abbiamo coinvolto artisti, in una “chiamata alle arti” che vuole esprimere il bisogno di pace da concretizzare nelle proprie creazioni, docenti, esperti, nuovi imprenditori, cittadini, in un percorso sempre più ampio e articolato. I prodotti delle imprese dei soci possono fregiarsi di un marchio europeo “Warfree” unico al mondo che attesta la ricerca di percorsi di pace nella quotidianità della produzione. Interessante vedere come numerosi Gruppi di Acquisto Solidale in varie città d’Italia, hanno deciso di acquistare i prodotti delle aziende Warfree, per dire il loro ripudio della guerra attraverso un atto economico. E’ in preparazione una “Spring school” per la formazione alla pace, organizzata sul nostro territorio da diversi docenti universitari. Prepariamo la pace in tutti i modi a noi possibili.