Un ricordo
Ciao Tom, sono vent’anni che non ci vediamo, tu di là e noi di qua. Non ti chiedo come stai per non farti arrabbiare, ma ti posso assicurare che noi, qua, non ce la passiamo troppo bene. Sì, siamo sempre in democrazia mentre altri non hanno né diritti, né libertà, ma abbiamo regalato il governo del Paese agli eredi del fascismo. Pensa che chi ci governa porta con orgoglio identitario la fiammella della repubblica di Salò. Non ci credi ?….. ma ti dirò di più: il primo partito in Italia è il partito dell’astensione… pensa a cosa direbbero quei giovani che dedicarono la loro vita per sconfiggere il fascismo e l’occupazione nazista, se sapessero come stiamo distruggendo ciò che loro hanno conquistato con il sacrificio della propria vita. Ma, mi fermo qui, perché il mio compito è un altro. Debbo intrecciare le nostre storie con il tema della pace, cosa che per te sarebbe facile, ma il compito tocca a me e la cosa cambia. Ci provo, poi mi dirai se ci sono riuscito o se sono uscito di strada.
Parto da un ricordo per me importante. Sarà stato l’anno 2000, ero in Palestina per una serie di incontri. Era il periodo della grande delusione per il fallimento degli accordi di Oslo. Dopo l’assassinio di Yitzak Rabin, da parte di un fanatico fondamentalista ebreo, in Israele nessun movimento politico e men che meno leader politico si spesero per la questione palestinese e per la soluzione dei “due stati per i due popoli”. L’autorità Palestinese, insediatasi con Oslo, perse progressivamente il legame con la popolazione e con i suoi bisogni. La politica israeliana di occupazione e di espulsione dei palestinesi dalla propria terra, la mancanza di una leader-ship palestinese come reale espressione della popolazione e l’ipocrisia della comunità internazionale, generarono disillusione e frustrazione, fino a deflagare in una sommossa, la seconda intifada, con conseguente catena di violenze sempre più estese da ambo le parti. Quello era il clima politico di quel momento. Noi, cercavamo di fare del nostro meglio attraverso i progetti di cooperazione e di solidarietà con i palestinesi, ma era una goccia nell’oceano, la strada era segnata in tutt’altra direzione.
Ma ritorno al mio ricordo. Ero a Gerusalemme quando i nostri amici palestinesi mi presero da parte per invitarmi ad un incontro riservato che si sarebbe dovuto realizzare il giorno successivo, nel primo pomeriggio, in un luogo di Ramallah, per discutere come rilanciare e coordinare il nostro impegno a favore della causa palestinese. Avremmo incontrato personalità importanti. L’appuntamento era davanti al solito National Palace Hotel, un’auto sarebbe venuta a prendermi e poi via per Ramallah. Oramai ero abituato a questi metodi, fatti di notizie e informazioni approssimative, clima da “agenti 007” improvvisati, tanta passione, tanta militanza e tanto casino. Accettai senza indugio. Andiamo a vedere.
L’auto arrivò, era un mercedes a tre porte per lato, un modello che solo a sud del Mediterraneo ho visto, in quei posti usato come taxi collettivo, a nove posti. Targa gialla per passare dentro e fuori Gerusalemme. In meno di un’ora attraversammo i check points de arrivammo a El Bireeh per poi entrare nella nuova zona residenziale di Ramallah che, dopo il 93, con gli accordi di Oslo divenne di fatto la capitale politica e commerciale, della Cisgiordania con una crescita immobiliare impressionante, per la concentrazione di investimenti realizzati dai palestinesi della diaspora, sparsi in ogni angolo del pianeta, che scommisero sulla pace e sul futuro stato di Palestina.
L’auto fiancheggiò il centro urbano passando per le nuove vie che disegnavano il confine tra gli uliveti de i nuovi insediamenti urbani di ville e di edifici a più piani, per poi fermarsi in quello che era un nuovo hotel.
I miei accompagnatori mi fecero strada, entrai nella hall, il bar era occupato da una decina di persone, era quello il mio appuntamento. E lì, unico straniero presente, eri tu. Chi organizzò quell’incontro fu, Nemer Hammad, capo delegazione della sede diplomatica palestinese in Italia. Rimanemmo sorpresi entrambi di vedere un altro italiano a quel tavolo, come se uno dei due fosse un intruso. Ma bastarono pochi minuti di conversazione per trovare le ragioni della nostra presenza. I nostri interlocutori palestinesi erano molto preoccupati per la china che aveva preso il rapporto con il governo israeliano e volevano discutere di come rilanciare l’impegno della società civile italiana. Ricordo che tu mi dicesti, bene, visto che ci siamo conosciuti in Palestina, sarebbe il caso che ci incontrassimo anche in Italia. E così fu, che iniziammo a collaborare sui dossiers più delicati delle crisi internazionali, dal Medio Oriente, ai Balcani, all’Africa.
Caro Tom, da quell’incontro in un bar, semi-nascosto, davanti ad un thé alla menta, nella periferia di una Ramallah non ancora segnata dall’assedio della Muqata (il quartier generale di Arafat), iniziò una collaborazione con l’ARCI che ha segnato un quarto di secolo di iniziative, scelte, sfide, impegni, progetti del nostro impegno per la pace, per i diritti, per la democrazia.
L’impegno per la pace
Non vi è dubbio che la tua traiettoria, caro Tom, abbia attraversato tante dimensioni ed ambiti della nostra vita ed esperienza sociale, “sei partito dal partito”, permettimi questo gioco di parole, per scegliere poi la strada dell’impegno sociale, a tutto campo, rafforzando l’identità politica ad una grande associazione che è l’ARCI, inzuppandola di valori forti, di lotte per i diritti e, in particolare, di un protagonismo laico nell’impegno per la costruzione della pace.
Nel tuo percorso ritrovo una curiosità ed una ricerca di contatti e di alleanze con i movimenti pacifisti di ogni parte del mondo, senza pregiudizi e barriere ideologiche, per costruire azioni coordinate, per unire fili ed idee anche tra “nemici”, superando così una visione distorta che associa la società civile ai rispettivi governi e stati. Un tema delicato e che spesso ha diviso il mondo dell’associazionismo ed anche il movimento pacifista, ponendo la domanda sull’opportunità e la coerenza della ricerca di dialogo e di sostegno alle comunità o popolazioni di stati aggressori e non solamente alle popolazioni o comunità oppresse e vittime della violenza, per costruire ponti, relazioni, difesa dei diritti umani. Strade strette, curve a gomito, terreno pericoloso ma impegnarsi per contrastare la follia e la violenza della guerra non è una passeggiata o un invito a nozze, occorre avere il coraggio e la determinazione di andare contro-corrente, di lavorare per l’alternativa alla guerra e di assumere anche il rischio di sbagliare la mossa, l’interlocutore, il tempo. La traccia che hai lasciato è diventata un sentiero battuto, ben segnato che ci ha aiutato ad affrontare le sfide di questi ultimi decenni per far sì che la pace diventi, come pensavi tu, un progetto politico.
La creazione della Rete italiana Pace e Disarmo
Il travaglio della costituzione della Rete italiana Pace e Disarmo (RiPD) è durato quasi una decade, dal 2011 al 21 settembre del 2020.
Ricordo che l’idea iniziale, da parte di un insieme di associazioni, era di riformare la Tavola della Pace, luogo che aggregava una una gran parte del movimento pacifista italiano e con una tradizione di mobilitazioni nazionali che facevano perno sulla storica marcia per la pace ideata da Aldo Capitini nel 1961, da Perugia ad Assisi. L’idea non trovò un accordo tra tutti i soggetti e così, con sofferenza e con qualche disagio, decidemmo che la soluzione migliore era che ognuno prendesse la propria strada, con la speranza di ri-incontrarci in futuro, cosa che di fatto avvenne.
Il primo passaggio fu la creazione della Rete della Pace, decisa durante un’assemblea molto movimentata che si realizzò a Perugia, nella sede della Provincia, nei giorni 6-7 dicembre del 2014, alla presenza di rappresentanti di XX associazioni. Le motivazioni e gli obiettivi che portarono a questa decisione sono ben espressi da due passaggi estratti dal verbale dell’Assemblea di Da verbale dell’assemblea:
dar vita a “un nuovo coordinamento, aperto a tutte le diverse anime e realtà della società italiana che intendono collaborare tra di loro “operando nel solco della Marcia Perugia – Assisi, nell’insegnamento di Aldo Capitini, nei principi della Costituzione Italiana, della Carta Europea e del sistema Internazionale di promozione e di tutela dei Diritti Umani” per “rinnovare il proprio impegno a favore della pace, dei diritti, della giustizia e della legalità”.
Per dare un’impronta più aperta, più presente nel mondo associativo e sindacale, più inserita nelle dinamiche e nell’agenda politica:
“…dalla necessità di un’azione più costante e continua, non solamente concentrata sui grandi eventi, ma capace di creare cambiamenti quotidiani e culturali. Dalla necessità di rafforzare il lavoro con e nelle scuole, al coinvolgimento dei giovani ed alla femminilizzazione delle piattaforme e delle campagne di mobilitazione, alla interdipendenza tra le diverse problematiche settoriali; crisi ambientali, attacco al servizio civile, spinte xenofobe, spese militari, corruzione e crimine organizzato, nuove povertà, precariato ed esclusione sociale, che debbono trovare nuove modalità di collaborazione, di convergenze e di coordinamento tra tutti quanti.”
Valorizzare e non disperdere il patrimonio collettivo di esperienze per farlo rivivere dentro una struttura organizzativa a rete:
“La stessa esperienza di questi anni all’interno della Tavola della Pace ha messo in evidenza quanto sia importante rinnovarsi e costruire rete tra i diversi settori e nei territori, tra le diverse comunità. Ed è proprio per meglio rispondere a questa esigenza che l’assemblea ha deciso di avviare il percorso costituente della rete italiana della pace, per poter avere una propria base associativa su tutto il territorio nazionale, con regole e rappresentanze elette in modo democratico e trasparente. Promuovendo la partecipazione dal basso e coniugando la presenza delle grandi e delle piccole organizzazioni, formali ed informali, in un’unica istanza assembleare, aperta ed inclusiva anche delle singole persone che intendono impegnarsi e dare il loro contributo”.
Obiettivi ambiziosi che videro l’adesione di associazioni nazionali, comitati locali, sindacati, in parte provenienti dalla Tavola della Pace, ma anche di realtà associative che non aderivano a quel coordinamento.
Box 1: aderenti a Rete della Pace
ACLI, AGESCI, Accademia apuana della pace, Ambasciata democrazia locale, Amici della mezza luna rossa palestinese, ANSPS,
AOI – Associazione di cooperazione e di solidarietà internazionale, Ara pacis iniziative, Archivio disarmo, ARCI, ARCI Bassa Val di Cecina, ARCI Verona, ARCS, Arci servizio civile, Associazione Perugia Palestina, Associazione per la pace, Associazione per la pace di Modena, Associazione Ventiquattro marzo. AssopacePalestina, AUSER, CGIL, CGIL Verona, CNCA, Comunità araba siriana in Umbria, Coordinamento comunità palestinesi, Coordinamento comasco per la pace, Coordinamento pace in comune Milano, CTA – centro turistico Acli PG, Encuentrarte, FIOM Cgil, FOCSIV, Fondazione Angelo Frammartino, Fondazione culturale responsabilità Etica, GLAM – Commissione Globalizzazione e Ambiente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, IPRI – rete CCP, IPSIA, Lega per i diritti dei popoli, Legambiente, Link2007 cooperazione in rete, Link – coordinamento universitario, Lunaria, MIR, Movimento europeo, Movimento nonviolento, Nexus Emilia Romagna, Per il mondo, Peacewaves, Piattaforma ong MO, Restiamo umani con Vik Venezia, Rete degli studenti medi, Rete della conoscenza, Rete della pace umbra, Tavola della pace valle Brembana, Tavola pace val di Cecina,Tavola sarda della pace, Tavola della pace di Bergamo, U.S. Acli, UDS, UDU, UISP, Un ponte per…, |
Fu l’Arena di Pace (Verona) che si realizzò il 25 aprile del 2014 a segnare un passaggio fondamentale per la costruzione di alleanze e contaminazione tra soggetti, movimenti e reti diverse, dentro e fuori il campo pacifista, per dar vita a qualcosa di nuovo, non solo in termini di aggregazione, ma soprattutto di proposta e di mobilitazione. Una opportunità che attendevamo da tempo per lasciarci alle spalle una fase di discussioni e di polemiche interne, e per verificare se il metodo, i tempi e la proposta fossero valide, attrattive, coinvolgenti oltre la somma delle nostre realtà associative, o se invece, occorreva rivedere le aspettative e gli obiettivi.
La data scelta, il 25 aprile, non fu scelta per caso, ma per dare un segnale chiaro ed una scelta di campo ben precisa: la pace è un valore fondativo della nostra costituzione, che ha le radici nella resistenza e nella liberazione dal nazi-fascismo. Convocare una manifestazione nazionale per la pace ed il disarmo nel giorno della Liberazione, voleva essere un richiamo alla nostra idea di impegno per la pace, non in quanto concetto morale, astratto e neutro, ma come una conquista, un obiettivo, incardinato in una società democratica, nel rispetto dei diritti umani universali e nel sistema del diritto internazionale. Non è una cosa a parte, una bandiera da esporre un giorno all’anno. Ma impegno quotidiano, nel lavoro, nella scuola, nella famiglia, nel quartiere, nella vita sociale, parte integrante dell’azione politica. Insomma, parte del progetto politico e non una specializzazione o una manifestazione contro la guerra di turno.
Quell’evento fu molto partecipato e tantissime furono le adesioni. Culture ed ambienti diversi, movimenti religiosi e laici, generazioni diverse, si incontrarono e, da quell’incontro iniziò un cammino comune che prosegue tutt’ora, a geometrie variabili, con alti e bassi, ma che mantiene un filo conduttore con quel primo appello di Verona: La resistenza oggi si chiama nonviolenza. La liberazione oggi si chiama disarmo
Un secondo passaggio importante fu la campagna Un’Altra Difesa E’ Possibile (novembre 2014), per la costituzione di un Dipartimento di difesa civile e nonviolenta, con la raccolta di oltre 50mila firme e il deposito di una proposta di legge popolare, poi ripresa e riproposta da un gruppo di parlamentari, incardinata nelle Commissioni Affari Costituzionali e Difesa, ma mai arrivata alla discussione parlamentare a causa dell’ostracismo e delle varie crisi di governo.
La campagna fu un’ulteriore banco di prova per “lavorare insieme” tra soggetti diversi. Sei soggetti ne furono i promotori: Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile, Forum Nazionale per il Servizio Civile, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci!, Tavolo Interventi Civili di Pace, mentre i protagonisti furono i comitati locali che nacquero e si organizzarono spontaneamente in tante città e territori italiani, superando di gran lunga il grande potenziale delle grandi realtà associative che, in quell’occasione, tardarono a mobilitarsi. Anche questo fu un segnale molto importante del valore e della forza del protagonismo e della capacità di mobilitazione e di organizzazione dei territori che, identificato un obiettivo sentito come proprio e lasciati ampi gradi di libertà di manovra, sono in grado di creare azioni unitarie e risultati concreti. Un’esperienza che servì quando, negli anni successivi, a seguito della guerra in Ucraina, dovemmo organizzare mobilitazioni decentrate.
Ma, un approfondimento sulla proposta di Legge per la difesa civile, credo sia utile e dovuta, perché rimane un pilastro del nostro progetto politico e l’invito è di visitare il sito della campagna.
Gli anni successivi, 2015 – 2019, sono stati anni di consolidamento della rete. Anni che hanno visto un forte impegno per fermare le guerre e le crisi umanitarie in Medio Oriente, contro l’aumento delle spese militari ed i nuovi investimenti nei sistemi di arma, per la già citata campagna per la difesa civile e nonviolenta, per il rispetto della Legge 185/90 (vedasi commercio di armi), fino ad arrivare all’assemblea del gennaio 2020, realizzata a Milano, dove si decise di avviare il percorso di fusione delle due reti, cosa che si formalizzò il 21 settembre 2020, con la nascita di RiPD
Il documento di adesione alla nuova rete indicava le ragioni e le sfide di tale scelta…:
“Per le organizzazioni firmatarie è indispensabile promuovere un’articolata collaborazione tra le rispettive strutture nazionali e locali. La forte connotazione sociale dei temi delle politiche di pace e disarmo, con implicazioni nel campo dello sviluppo sostenibile, dei diritti umani e della giustizia internazionale, richiede un approccio integrato ed una radicata diffusione territoriale.
La Rete è un’esperienza di coordinamento e di confronto tra tutti coloro che nella società civile lavorano in Italia per promuovere la pace, fondata sui diritti umani, la giustizia e l’equità sociale, la solidarietà, l’inclusione, la legalità, la cittadinanza attiva, la nonviolenza.”
Ed indicava pure le radici comuni…:
“La Rete fonda le sue radici nei principi costituzionali e nelle norme internazionali che riconoscono i diritti innati delle persone, sanciscono il ripudio della guerra e promuovono la cooperazione tra i popoli, avendo come riferimenti la Costituzione italiana, Carta delle Nazioni Unite, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Patto Internazionale sui diritti civili e politici, Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, sui Diritti delle Donne, sui Diritti dei Migranti, le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la Carta dell’Unione Europea, la Carta Sociale rivista del Consiglio d’Europa e tutte le altre Convenzioni delle Nazioni Unite.”
L’individuazione del nuovo logo fu inaspettatamente facile avendo a disposizione ed ereditato due simboli che uniti ben rappresentavano la fusione in corso: la colomba che richiama la Pace, mentre il fucile spezzato, riprende il simbolo della nonviolenza e del disarmo. E fu logo.
Lavorare in rete tra soggetti diversi, promuovere e valorizzare i comitati locali per diffondere e promuovere il cambiamento culturale e politico dal basso, agire per campagne tematiche ed attraverso queste allargare sempre più le alleanze e le convergenze con altri soggetti ed ambiti tematici, sono stati gli orientamenti e le dinamiche che, sin dai primi passi, hanno caratterizzato l’esperienza della nuova rete.
L’obiettivo non era, e non lo è neanche oggi, di unire tutto il variegato movimento per la pace in un unico soggetto, ma di costruire convergenze ed unità d’azione sui grandi temi, declinati in specifiche campagne per favorire percorsi ed obiettivi comuni. Così si è lavorato per la Campagna Taglia le Ali alle Armi, Un’altra Difesa è possibile, Stop Armi all’Arabia Saudita – Coordinamento Yemen, , Campagna Europea per il riconoscimento dello Stato di Palestina, Stop Armi Egitto, Campagna contro le Armi Esplosive,Italia Ripensaci per la ratifica del Trattato per la proibizione delle armi nucleari, le giornate internazionali per la riduzione delle spese militari (GCOMS), StopKillerRobots, ed altre iniziative sui grandi temi della pace, del disarmo e della nonviolenza che hanno visto la partecipazione ed il protagonismo di soggetti diversi.
E cercando di incidere sulle scelte di politica estera e di difesa dei governi di turno e di conquistare spazi di comunicazione e di informazione sui media. Una impresa ardua, che ha messo in evidenza la frattura esistente tra i principi ed i valori universali espressi dalla nostra costituzione, come sono il ripudio della guerra e l’impegno per la pace, e le scelte politiche dei governi che si sono succeduti dall’inizio degli anni novanta ad oggi, sempre più lontane da una politica estera di pace, di sicurezza condivisa, di di cooperazione tra popoli e nazioni.
Una frattura sempre più netta e profonda che oggi la si vede plasticamente nelle scelte sulla guerra in Ucraina e nel rapporto con le guerre in Medio Oriente e con il sostegno ad Israele, sempre e comunque.
In questo percorso di mobilitazioni ma anche di approfondimenti, studi, ricerche, analisi abbiamo cercato di cogliere e di far emergere i nessi, i collegamenti, gli intrecci tra ambiti e fenomeni diversi e la costruzione della pace, sempre spinti dall’obiettivo primario, di uscire dal ruolo e dalla visione ridotta ed anacronistica del pacifismo puro, astratto dal contesto storico e politico, considerato solo per ricorrenze ed anniversari, ed evocato quando ci si trova di fronte ad una nuova guerra “… ma dove sono i pacifisti ?”.
L’occasione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) o Next Generation EU, ci è sembrata una buona opportunità per costruire una proposta in 12 punti da trasmettere al nostro governo per dare al Programma una impronta culturale, educativa, economica orientata alla pace, alla riconversione ed alla crescita culturale della nostra società. Il documento fu oggetto di un lavoro collettivo e molto partecipato, fummo soddisfatti del risultato e lo inviammo all’allora Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Lo staff di Palazzo Chigi ringraziò per il contributo annunciando prossimi contati che mai ebbero luogo. Il documento e le proposte sono ancor oggi di attualità.
La necessità di ragionare e di elaborare analisi sul contesto nazionale, europeo ed internazionale e di individuare percorsi di convergenza tra movimenti e tematiche con le quali dover fare i conti per costruire una politica ed una cultura di pace sono rimaste le priorità della rete. Un impegno che si è materializzato nel lavoro di gruppo da cui sono usciti diversi documenti, su temi che furono considerati importanti per il nostro collettivo e per dialogare con altri soggetti: neutralità attiva, Mediterraneo di Pace , disarmo climatico ed educazione alla Pace, Società Economia Ambiente, Europa, …….. seminari tematici per far emergere quanto sia inutile e dannosa una politica che consenta di usare le armi e la guerra come strumento di soluzione dei conflitti tra stati e per reprimere il dissenso e le opposizioni interne. (vedasi il seminario sull’intreccio guerre/distruzione ambiente, guerre e finanza).
La saldatura delle guerre, la crisi del sistema
Analisi e riflessioni per collocare la questione “pace/disarmo/nonviolenza” nel secolo XXI, in un mondo non più bipolare, dove sembra riprodursi la legge del più forte, incapace di fare il salto ad un sistema multilaterale di governo del pianeta. Un passo oramai ineludibile, che richiede la riforma del sistema ONU, consegnando piena sovranità agli stati membri, eliminando il potere di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, eredità del secolo scorso, oggi vero limite per l’applicazione del diritto internazionale. Questioni complesse che richiedono un cambiamento radicale della politica attuale, del rapporto tra poteri, dell’idea di sviluppo e di benessere, di uso delle risorse, di cosa vogliamo consegnare, in termini di ideali e di valori, alle future generazioni. Preoccupazioni e pensieri che sono drammaticamente esplose nella parte del mondo in cui viviamo noi, in Europa, in Occidente, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il 24 febbraio del 2022 e, a seguire, l’attacco di Hamas in Israele, il 7 ottobre del 2023. Due eventi che hanno scoperto le carte della fragilità del sistema internazionale ed il rischio di una guerra nucleare senza limiti e senza confini, dove nessuno ne uscirà vincitore.
Va detto. Le guerre lontane dal centro del potere, dall’Occidente, sono tutte sopportabili per il sistema, anche se producono disastri e morti a centinaia di migliaia (vedi Africa, vedi Siria, vedi Iraq, vedi Afghanistan….) , anzi, alimentano il sistema: aumenta la produzione e commercio di armi, si consolidano le nuove forme di colonialismo economico e di regimi calati dall’alto, si frena lo sviluppo di altre nazioni,… ). Ma una guerra tra potenze nucleari, com’è il caso della guerra in Ucraina, ed in Europa, e l’esplosione di violenza nel conflitto israelo-palestinese, straordinaria per le dimensioni e la brutalità, ma con un forte rischio di espansione regionale e di non ritorno, hanno alzato il livello di allerta come mai era successo dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi nelle Cancellerie di stato del mondo intero e nell’opinione pubblica.
Questi due eventi hanno determinato un prima e un dopo per tutti quanti, stati, governi, società civile. Ed ovviamente, anche per quella che è stata, ed è, l’agenda di lavoro di RiPD.
Salvare le vite, cessate il fuoco, assistenza alla popolazione vittima delle guerre, canalizzare tutte le energie per aprire negoziati ed individuare soluzioni politiche e non rispondere alla guerra con le armi, condanna di ogni forma di violenza e di violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario, sono state le richieste e le posizioni condivise e sostenute da un’ampia alleanza di soggetti che hanno alzato la bandiera della pace nelle tante iniziative promosse dal 25 febbraio 2022 ad oggi.
Stessa posizione e stesse richieste anche per quanto accade in Israele ed a Gaza, ovviamente con le specificità di diversi contesti, ma i “paletti”, i “principi guida” non possono essere diversi. Non si può pensare di rispondere con l’appoggio in armi ad un popolo aggredito e ad un altro no, in base a quale logica? E che credibilità possiamo avere se usiamo diversi pesi e diverse misure, quando si tratta di vita o di morte, quando in gioco c’è la pace o la guerra ?
Sì, abbiamo scoperto di essere dentro un vortice che ci riporta indietro nel tempo, come se le lezioni della storia, i drammi, le distruzioni, l’olocausto, le lacerazioni delle due guerre mondiali, la presenza dell’arma nucleare i sacrifici di uomini e donne per conquistare la democrazia, la libertà, i diritti, la nostra costituzione, le Nazioni Unite, il progetto europeo non fossero mai esistiti. Tabula rasa. L’Alleanza Atlantica (la Nato) riappare quando oramai era data per finita. C’è una nuova missione da compiere: difendere i nostri valori e le nostre conquiste da un nuovo (vecchio) nemico: la Russia, ma anche la Cina ed il resto del mondo che non sta con noi, quindi, è contro di noi. In questa idea di noi contro il resto del mondo,Israele si colloca come nostro alleato, quindi, va redarguito perché esagera, ma va sempre sostenuto.
Chi chiede il cessate il fuoco ed il negoziato per l’Ucraina è filo-putiniano o è un’anima bella. Chi chiede il cessate il fuoco per Gaza ed il riconoscimento dello stato di Palestina è filo-Hamas, sta con i terroristi.
In Europa ci si prepara alla guerra. Priorità: investire nella spesa militare, produrre nuovi sistemi di arma. Fermare i migranti, potenziali terroristi. Sconfiggere la Russia e mandare segnali alla Cina, il vero pericolo per l’Occidente. In Medio Oriente che regni il caos sociale ma che si possa continuare a fare affari, il resto non conta.
Questo in estrema sintesi il vortice in cui ci troviamo a vivere ed a dover fare i conti.
Tutto ciò accade mentre, le indagini demoscopiche sia nel nostro Paese che in Europa, indicano che la maggioranza delle popolazioni sono contrarie alle guerre ed a favore del cessate il fuoco e, quindi, a soluzioni negoziate, per la via politica, ma non trovano ascolto e sponde politiche. Siamo una maggioranza silente senza più punti di riferimento nei rispettivi parlamenti. Non che manchino le mobilitazioni in ogni città ed in ogni capitale europea o degli Stati Uniti.
Noi abbiamo dato vita ad una grande coalizione, Europe for Peace, scesa nelle piazze e nelle strade italiane ripetutamente, promotrice assieme ad latri soggetti europei ed internazionali di una conferenza internazionale di pace a Vienna ( — agosto 2023), insieme abbiamo costruito la campagna di missioni di pace StopTheWarNow in Ucraina , il sostegno ai dissidenti ed obiettori ucraini, russi, bielorussi contro la guerra.
Come pure per la Palestina, insieme alla coalizione AssisiPaceGiusta, quante iniziative per il cessate il fuoco, netta condanna alla crudele e inaccettabile azione di Hamas ed altrettanto netta condanna all’azione militare d’Israele a Gaza e della ritorsione nei confronti della popolazione civile palestinese. Migliaia di manifestazioni in Italia, decine di migliaia in Europa e grandi mobilitazioni per il cessate il fuoco a Gaza negli USA, con palestinesi ed ebrei insieme. Abbiamo accolto la richiesta di palestinesi e di israeliani di essere un ponte di dialogo e di incontro tra chi ancora crede alla possibilità della convivenza tra uguali, in un momento dove gli spazi e le relazioni si sono interrotte.
Tante energie messe in campo a sostegno delle popolazioni vittime delle guerre, richieste di cessate il fuoco ed invocazioni per il rispetto del diritto internazionale ed umanitario a cui tutti gli stati membri delle Nazioni Unite sono obbligati a rispettare ed a cooperare affinché ciò avvenga, ma governi e parlamenti, di paesi democratici, proseguono dritti sulla strada della guerra permanente, a rischio di una guerra globale nucleare.
Caro Tom, qui si ferma il mio racconto. Non si ferma la nostra storia, non ci diamo per vinti. Siamo figli e figlie, nipoti di chi ha fatto la Resistenza, abbiamo memoria e coscienza. Abbiamo la costituzione (…da difendere), un sistema di diritto internazionale (….da far rispettare), abbiamo le Nazioni Unite (….da riformare), abbiamo un parlamento (…. a cui chieder conto) ed abbiamo l’Europa (.. da costruire). Tanta roba, tanti hanno tanto di meno. Non possiamo perdere. Siamo dalla parte giusta della storia. Con pazienza ed il tempo necessario porteremo a casa ciò che serve per garantire ad ogni donna, uomo o come si voglia definire, la possibilità di vivere in dignità, libertà, giustizia e sicurezza, ……… in pace.
Un abbraccio forte.